Una tecnica di discussione africana ha salvato la conferenza sul clima?
Nei giorni finali delle trattative è stata utilizzata la cosiddetta "Indaba", che prevede un confronto pubblico molto diretto: ha funzionato, pare
Venerdì 11 dicembre il ministro degli esteri francesi Laurent Fabius, rivolgendosi ai delegati riuniti per la Conferenza mondiale sul clima di Parigi, ha detto: «Questa volta cercheremo soltanto di raggiungere un compromesso. Sarà un Indaba delle soluzioni». Dopo le parole di Fabius si è svolto un negoziato insolito, portato avanti con un’antica tecnica di trattativa africana: l’Indaba, che in lingua zulu significa semplicemente “riunione”. Sabato sera, meno di 24 ore dopo la dichiarazione di Fabius, è stato raggiunto un accordo fra tutti e i 195 paesi che partecipavano alla conferenza considerato “storico” da esperti e giornalisti.
Molti giornali internazionali attribuiscono il successo della conferenza all’abilità e all’esperienza del ministro degli Esteri francese Laurent Fabius – che “conduceva” i negoziati – il quale ha ricevuto i complimenti di diversi delegati per aver lavorato in maniera molto efficace. I giornali internazionali hanno sottolineato il suo fascino e la sua capacità di includere nelle discussioni i delegati di tutti i 195 paesi arrivati a Parigi.
Per altri, il merito del successo è stato anche dell’Inbada. Si tratta di un termine utilizzato da Zulu e Xhosa, due popolazioni dell’Africa meridionale, che indica una particolare forma di negoziato. Nell’Indaba tradizionale i capi si mettevano in cerchio, ognuno con il suo piccolo seguito, e a turno esprimevano in maniera concisa le proprie posizioni, le questioni su cui proprio non possono spingersi oltre un certo punto e le possibili soluzioni che erano disposti ad accettare.
L’Indaba moderna è un momento di discussione aperto e pubblico in cui i vari negoziatori sono spinti a dichiarare ad alta voce e di fronte a tutti gli altri le loro posizioni, oltre ai limiti oltre i quali non si vogliono spingere. Per capire perché è importante bisogna farsi un’idea di come in genere avvengono questi grandi incontri internazionali. Di solito, anche se ai negoziati partecipano decine di parti diverse, i punti chiave vengono discussi durante incontri privati dove i leader dei paesi più importanti si parlano e spesso litigano faccia a faccia. Il momento che compare nelle foto dei giornali del giorno dopo, quando tutti i leader sono riuniti intorno a un grande tavolo, non è altro che la votazione su un testo elaborato dai paesi più importanti e concordato in tanti incontri privati.
I vantaggi del discutere in questo modo sono abbastanza evidenti: in privato, i negoziatori possono ricorrere a ricatti, minacce e strumenti retorici che in pubblico non userebbero. Proprio queste tecniche, però, possono ostacolare il raggiungimento di una soluzione comune. Senza contare che una discussione in una stanza chiusa tra persone stremate da lunghi negoziati – lunghissimi, quando coinvolgono 195 paesi – può degenerare piuttosto in fretta. L’ultima Conferenza mondiale sul clima, organizzata a Copenhagen nel 2009, fu condotta con l’approccio degli incontri ristretti. Si concluse senza che fosse ratificato un accordo.
Due anni dopo, alla conferenza di Durban, sembrava che i colloqui stessero per fare la stessa fine: all’ultimo momento però il governo sudafricano che ospitava l’evento convocò tutti i delegati in un’unica sala e chiese loro di parlarsi direttamente davanti a tutto il pubblico. Fu la prima volta in cui in una conferenza sul clima venne utilizzata l’Indaba e da allora questo modo di procedere ha iniziato a diffondersi.
A Parigi le prime Indaba si sono tenute nella notte di giovedì, quando dopo una settimana di negoziati estenuanti la conferenza si avviava verso la sua chiusura. Le Indaba si sono tenute in due sale diverse, con i negoziatori dei vari paesi che si davano il cambio in modo che tutti riuscissero a dormire almeno quattro o cinque ore a notte. Ancora mercoledì la situazione sembrava disperata, ma dopo le Indaba di giovedì le trattative hanno preso un altro passo: dopo il successo della sessione di giovedì notte, Fabius ha annunciato che la discussione sarebbe proseguita anche il giorno dopo con lo stesso metodo.
Venerdì sera, mentre scadeva il termine ufficiale della conferenza e i lavoro venivano prorogati di 24 ore, Fabius ha dato il via a una grande “Indaba delle soluzioni” dove affrontare i punti più difficili del negoziato. Pia Randa, una giornalista filippina tra i pochi membri della stampa che sono riusciti ad assistere all’incontro, ha scritto che in un’atmosfera di urgenza e preoccupazione, i delegati delle isole del pacifico con fiori tra i capelli si sono seduti accanto a quelli europei in abito scuro. Fabius ha aperto la discussione a mezzanotte iniziando a leggere uno per uno i punti controversi della bozza di accordo raggiunta nei giorni precedenti. Quando uno dei delegati voleva intervenire, non doveva far altro che alzare la placca con il nome del suo paese.
Alcuni, racconta Randa, hanno parlato con un inglese fortemente accentato, altri nella loro lingua natale. Alcuni sono stati concisi, mentre altri hanno letto lunghi testi preparati in anticipo. Quando il dibattito tra i delegati di due paesi diveniva troppo teso, Fabius li invitava ad andare a discutere le loro divergenze in una stanza separata, ma per evitare che la discussione degenerasse li faceva accompagnare da un “facilitatore”, che aveva il compito di tornare a riferire all’Indaba dopo 30 o 45 minuti.
Alle sei di mattina di sabato rimanevano ancora diversi punti complicati da risolvere, ma l’atmosfera era completamente cambiata. Le trattative sono continuate fino alla sera di sabato, ma i giornalisti presenti a Parigi raccontavano di un clima pieno di ottimismo e a volte persino di entusiasmo. Poi, intorno alle 19, i leader hanno dato l’annuncio: l’accordo sul clima era stato raggiunto.