La tratta di donne dalla Nigeria all’Italia
La racconta un lungo reportage del Financial Times, spiegandone l'aumento, le nuove rotte, i meccanismi e il ruolo della mafia
Dal luglio del 2015, il Financial Times lavora in collaborazione con “Stop the Traffik” per raccogliere fondi a favore dell’organizzazione che si batte contro il traffico di persone (sia bambini che donne), dedicando alla questione lunghi e documentati reportage. Uno dei più recenti racconta la tratta di donne dalla Nigeria all’Italia a fini di sfruttamento sessuale, spiegando i meccanismi, la crescita del fenomeno e le grosse difficoltà delle autorità italiane a contrastarlo, per i timori delle donne coinvolte ma anche per la complicità della mafia.
L’articolo del Financial Times inizia con il racconto di una donna chiamata Dora intervistata da due giornalisti in un rifugio per le vittime di abusi in Italia (il nome della città italiana non è specificato e il nome della donna è stato modificato, per proteggere la sua identità). Dora ha 19 anni ed è nata a Benin City, nel sud della Nigeria. All’inizio di quest’anno ha contratto un debito di 30 mila euro con un’organizzazione criminale in cambio di un viaggio verso l’Italia e di un lavoro, una volta arrivata, per ripagare il suo debito: «Ho pensato che quando sarei arrivata qui ci sarebbe stato un lavoro per me, ma non sapevo di dover fare la prostituta». L’accordo – incoraggiato dalla sua famiglia – è stato sigillato da una cerimonia religiosa tradizionale e traumatica: uno sciamano locale l’ha costretta a bere una bevanda alcolica molto forte mescolata con noce di cola e a spogliarsi parzialmente, facendole poi promettere di obbedire a ogni ordine che le sarebbe stato dato: «L’uomo ha detto che se non avessi ripagato il debito, una maledizione mi avrebbe uccisa. E che anche se fossi scappata, la maledizione mi avrebbe uccisa». Quella cerimonia era solo l’inizio del viaggio di Dora che dopo cinque mesi attraverso tutta l’Africa l’ha portata sulle coste della Libia. Da lì si è imbarcata arrivando in Sicilia.
Qualche numero
Il Financial Times scrive che sono passati quasi tre decenni da quando le ragazze e le donne nigeriane hanno cominciato a lavorare come prostitute in Italia, ma dice anche che nel 2015 il commercio del sesso tra Nigeria e Italia ha subìto un notevole aumento. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni le donne nigeriane arrivate in Italia al 30 giugno 2015 sono state 1.471, su un totale di 7.897 arrivi dalla Nigeria. L’anno prima, nello stesso periodo, le donne erano 353 su un totale di 3.311 arrivi di migranti nigeriani.
Dei quasi 900 mila migranti sbarcati in Europa nel 2015 dopo un viaggio attraverso il Mediterraneo, circa un quinto sono arrivati in Italia. Tra loro, quasi 5 mila erano donne nigeriane: il numero è di quattro volte superiore rispetto allo scorso anno. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni più della metà di queste donne sono destinate alla prostituzione.
Nuove rotte per la tratta a fini di sfruttamento sessuale
Gli operatori umanitari che hanno familiarità con questo crimine dicono che il profilo delle donne nigeriane destinate alla prostituzione è cambiato nel tempo: sono sempre più giovani e sempre di più reclutate nelle zone rurali del paese, sono poco istruite e molto povere. «L’aumento di minori vittime di tratta è spaventoso: queste adolescenti sono facilmente manipolabili», spiega Simona Moscarelli, avvocata dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni a Roma. In passato, molte delle donne nigeriane che arrivavano in Europa e in Italia affrontavano un viaggio più semplice: i trafficanti fornivano loro dei falsi documenti e le imbarcavano su un aereo dall’aeroporto di Lagos verso Roma o Londra.
La guerra civile e la complicata situazione della Libia hanno aperto nuove strade, via terra e via mare, con costi molto più bassi, senza la necessità di passaporti falsi o di costosi biglietti aerei. Tuttavia, si tratta di viaggi molto più pericolosi e molte donne hanno rischiato la loro vita o sono morte. Dora è una delle tante giovani donne che hanno seguito questo nuovo percorso (durante il viaggio è quasi morta di fame nel deserto, è stata derubata e ha subìto diversi tentativi di stupro; a Tripoli è stata picchiata con una cintura dall’uomo nigeriano che la teneva in custodia e il gommone con cui è arrivata in Italia ha rischiato di affondare).
In Italia
Secondo il Financial Times la tratta di esseri umani è in aumento in molti paesi e le reti criminali si sono modernizzate e adeguate ai meccanismi dei nuovi e massicci movimenti verso l’Europa. Lo sfruttamento riguarda 21 milioni di persone in tutto il mondo e utilizza più di 500 rotte: 4,5 milioni di queste persone sono destinate allo sfruttamento sessuale. «Il problema è particolarmente grave in Italia», scrive il Financial Times, a causa di una combinazione di vari fattori, quali «la posizione geografica, il potere della criminalità organizzata locale soprattutto nelle regioni più povere dove lo stato è debole e una persistente domanda di prestazioni sessuali».
Le donne nigeriane vittime della tratta sessuale non sono come i profughi che hanno abbandonato i campi di battaglia in Siria o che scappano dalle guerre in Afghanistan e Iraq. E non sono nemmeno in fuga da regimi particolarmente repressivi come quello dell’Eritrea. Scappano dalla povertà e dalla mancanza di futuro in paesi molto popolosi dove solo una minuscola élite controlla la ricchezza e il potere. Myria Vassiliadou, coordinatrice anti-tratta dell’Unione europea, ha spiegato che le donne nigeriane in Italia sono tra le vittime «più vulnerabili» della schiavitù sessuale. La loro situazione è praticamente «invisibile» e non considerata nel dibattito in corso su migrazione e afflussi: «La natura del reato è tale che queste persone restano nascoste».
Alle donne nigeriane ridotte alla schiavitù sessuale occorrono fra i tre e i sette anni per ripagare i propri debiti (sono pagate circa 20 euro a prestazione): sono costrette a lavorare ogni sera e anche durante il giorno, spesso devono provvedere al loro vitto e alloggio e vengono picchiate e maltrattate dai loro protettori o protettrici se non portano abbastanza denaro. Se restano incinta, sono poi costrette a subire aborti praticati illegalmente e dunque non sicuri.
«In teoria» scrive il Financial Times «non dovrebbe essere difficile per le nigeriane schiave del sesso sfuggire ai loro trafficanti, una volta arrivate in Europa. Dal momento del loro sbarco nei porti italiani sono spesso avvicinate da operatori umanitari e volontari e agenti di polizia che controllano il loro status giuridico. In alcuni casi, anche i clienti pentiti possono cercare di aiutarle a fuggire. Eppure, rimane estremamente raro per una donna nigeriana sottrarsi ai suoi trafficanti ed è una delle ragioni principali per cui le reti criminali sono così difficili da individuare». La pressione psicologica legata al potere dei giuramenti sciamanici ha in questo meccanismo un ruolo molto importante. Poi ci sono gli stretti controlli delle cosiddette madames, figure chiave nella rete dei trafficanti: raccolgono i soldi e controllano le azioni quotidiane di queste donne.
Per le donne che riescono a scappare, la strada verso il recupero può essere molto difficile. La legge italiana, per le vittime di traffico umano legato allo sfruttamento sessuale, prevede una protezione immediata e il rilascio di un permesso per restare in Italia: alle vittime si richiede però la denuncia dei trafficanti, prima di fornire loro una certezza sulla sistemazione in un luogo protetto e su uno stato giuridico legale, e questo funziona come ostacolo alla denuncia stessa. I percorsi di reinserimento e di integrazione sono poi molto complicati. Alcune delle donne che si sono liberate hanno trovato un posto di lavoro nel settore del turismo perché parlano inglese, ma il crescente numero di vittime nigeriane analfabete sta rendendo questa transizione molto difficile. Elisa Massariolo, psicologa che lavora con le donne vittime di tratta a Venezia, spiega poi che in Italia integrarsi «è molto difficile anche per coloro che hanno buone competenze. Queste donne non vengono assunte nemmeno nei ristoranti, anche se la cucina è nascosta». Molte di loro, di fronte alle difficoltà, si arrendono e sono costrette a tornare a prostituirsi. Altre ancora tornano in Nigeria e il numero dei rimpatri volontari nel 2015, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, è in aumento.
Mafia nigeriana e mafia locale
Più in generale, il controllo dei traffici legati alla prostituzione è affidato a potenti bande nigeriane attive anche in Italia che hanno dei supporti a livello locale. Maria Grazia Giammarinaro, giudice siciliana e Relatrice speciale delle Nazioni Unite sul traffico di donne e bambini, ha parlato di «una sorta di consenso» alle reti nigeriane da parte della criminalità organizzata italiana: «C’è stata una sorta di divisione del lavoro. Le nostre mafie tradizionali non hanno una grande vocazione per lo sfruttamento della prostituzione. In Sicilia, per niente: Cosa Nostra non lo ha mai fatto perché si scontra con i suoi codici culturali tradizionalisti progettati per tenere insieme le famiglie. Ma questo non significa che non possano guadagnarci, consentendo ad altri di farlo».
Nel 2014 i carabinieri avevano arrestato a Roma 34 persone appartenenti a due bande nigeriane rivali che gestivano il mercato della prostituzione, accusandole di associazione mafiosa. Tra fine ottobre e inizio novembre, la polizia italiana aveva arrestato almeno altri otto nigeriani accusati di traffico di esseri umani e favoreggiamento della prostituzione in due operazioni separate a Milano e a Bari. A novembre a Barcellona c’erano stati 21 arresti nei confronti di cittadini provenienti dalla Nigeria per lo sfruttamento sessuale, offrendo un’ulteriore prova che il commercio si sta diffondendo ben oltre l’Italia, in particolare in Francia, Germania, Spagna e Austria senza che ci siano però specifici interventi e competenze su questo tema. Diversi problemi ci sono poi sul fronte contro la tratta di donne anche in Nigeria: l’agenzia anti-tratta del paese ha arrestato più di 100 trafficanti da quando è stata fondata, nel 2003. Ma le vittime affermano che l’agenzia non è sufficientemente attiva nei confronti di un soggetto fondamentale nel meccanismo della tratta, quella dei sacerdoti locali.