Ci siamo dimenticati della guerra in Ucraina?
Le priorità del mondo e dell'opinione pubblica si sono spostate altrove, ma la situazione da quelle parti è ancora molto precaria: c'è una specie di guerra "congelata"
Da quando lo scorso 11 febbraio sono entrati in vigore gli accordi di pace firmati a Minsk, in Bielorussia, la guerra in Ucraina si è in parte bloccata. Negli ultimi mesi ci sono stati periodi in cui i combattimenti tra esercito ucraino e separatisti filo-russi si sono intensificati; i tentativi di implementare gli accordi sono andati a rilento e finora non hanno avuto grande successo. Il governo russo, che fino a quel momento aveva mandato armi e uomini a combattere in Ucraina orientale a fianco dei ribelli, ha cambiato le sue priorità e dalla fine di settembre ha cominciato a bombardare i gruppi di ribelli in Siria che combattono contro il regime siriano di Bashar al Assad. Gli Stati Uniti hanno reinvestito le loro risorse nella guerra contro l’ISIS in Siria e in Iraq e il governo ucraino ha avuto sempre meno appoggio internazionale.
Oltre alla guerra, il governo ucraino deve affrontare molti problemi legati al funzionamento dello stato, tra cui l’enorme questione della corruzione. I separatisti – interrotti gli aiuti provenienti dalla Russia – vivono sul fronte di guerra in condizioni pessime, ma non hanno abbandonato l’idea di conquistare nuovi territori. E poi c’è la Crimea, annessa dalla Russia, dove dal 22 novembre in molte zone non c’è più elettricità e le condizioni di vita della popolazione stanno rapidamente peggiorando. In pratica, in Ucraina si è quasi smesso di combattere la guerra ma di fatto non c’è ancora la pace: è una cosa simile a un “conflitto congelato”.
La vita a Donetsk e Luhansk, e in Crimea
I combattimenti a Donetsk e Luhansk, le due città più importanti sotto il controllo dei ribelli filo-russi, sono diminuiti molto dopo gli accordi di Minsk, ma le condizioni di vita della popolazione non sono migliorate. Associated Press ha scritto che «Donetsk sta sprofondando rapidamente nel passato», con grandi ritratti dell’ex dittatore Josef Stalin appesi per le strade quasi sempre deserte della città. Anche a Luhansk, l’altra importante città controllata dai separatisti, si vedono molti riferimenti al periodo sovietico: su alcuni muri della città sono state disegnate bandiere con la falce e martello unite ai colori della bandiera russa, e nell’ufficio di Yuri “Rostov” Shevchenko, il comandante ribelle locale, sono state appese foto di Putin e Stalin.
Due persone passano di fronte a un muro su cui è disegnata una bandiera metà dell’Unione Sovietica e metà della Russia. Luhansk, in Ucraina orientale, il 27 ottobre 2015. (AP Photo/Max Black)
I negozi e i ristoranti sono per la maggior parte chiusi ma anche se qualcuno volesse tornarci avrebbe difficoltà a pagare, visto che non ci sono bancomat funzionanti. Il governo ucraino ha imposto una specie di embargo economico verso le zone controllate dai separatisti: per esempio i contratti di affari sono stati bloccati, le pensioni e l’assistenza sociale sono state tagliate. Per il momento le pensioni e altri tipi di sussidi sono garantiti in minima parte dalla Russia, e sono pagati in rubli: ma arrivano dopo mesi di attesa e spesso sono solo una parte di quello che le singole persone prendevano prima della guerra.
AP scrive che le code ai checkpoint sono molto lunghe e alcune persone rimangono bloccate per due o più giorni prima di riuscire a entrare in un’area dove il cibo costa tre volte meno che a Donetsk. Molti abitanti della cosiddetta Repubblica Popolare di Donetsk, una delle due repubbliche autoproclamate dai ribelli, dicono che l’unica alternativa oggi è unirsi alla Russia. Il problema è che finora il presidente russo Vladimir Putin non si è mostrato disposto a procedere all’annessione dei territori controllati dai separatisti, anche a causa delle difficoltà economiche che sta attraversando il suo paese. Un altro segno dell’abbandono di Donetsk è il suo aeroporto, che fino a tre anni fa aveva raggiunto dei buoni standard internazionali: oggi è completamente in rovina a causa degli intensi scontri dello scorso anno.
Un cartello stradale fuori dall’aeroporto di Donetsk, in Ucraina orientale, il 25 ottobre 2015. (AP Photo/Max Black)
Nelle zone controllate dai separatisti, molti abitanti hanno raccontato al Guardian di sentirsi abbandonati dalla Russia. Qui i ribelli non credono che la guerra sia finita e la stanno combattendo usando tattiche diverse rispetto allo scorso anno: meno artiglieria, più singole operazioni. Aleksey Markov, un fisico nucleare di Mosca e vice di Shevchenko, ha detto: «La nostra repubblica non è ancora indipendente, dipende dagli aiuti della Russia. Prima dobbiamo conquistare più territori, più fabbriche e più città. Solo allora potremo finire la guerra». Altri ribelli del gruppo di Shevchenko – che si chiama la “Brigata fantasma” – accusano il governo russo di usare la minaccia di tagliare gli aiuti umanitari per spingere i combattenti locali a non iniziare azioni militari unilaterali: in pratica a rimanere fermi rispettando gli accordi di pace, almeno per ora. Intanto i ribelli che si trovano più vicini al fronte di guerra continuano a vivere in condizioni pessime, che stanno peggiorando con l’arrivo dell’inverno: usano come rifugi delle case in rovina e passano da un vicolo all’altro per evitare di essere colpiti dai proiettili dei cecchini.
Ribelli filo-russi di fronte ad alcuni carroarmati vicino a Novoazovsk, in Ucraina orientale, il 21 ottobre 2015. (AP Photo/Max Black)
Dal 22 novembre scorso la Crimea, regione ucraina che dal contestato referendum del marzo 2014 fa parte della Russia, è senza una fornitura stabile di elettricità. Quel giorno alcune persone – forse tatari crimeani o forse nazionalisti ucraini, ancora non si sa – hanno attaccato le quattro linee elettriche che trasportano elettricità dall’Ucraina alla Crimea, provocando un enorme blackout. Il governo locale sostiene di avere abbastanza generatori di energia per affrontare una tale emergenza, ma nei fatti le cose sembrano essere diverse: molte case hanno quattro ore di elettricità al giorno, due delle quali nel mezzo della notte.
Un uomo in un bar di Simferopoli, in Crimea, durante il blackout, il 22 novembre 2015. (AP Photo/Alexander Polegenko)
La mancanza di energia elettrica sta condizionando molto la vita dei crimeani, ha raccontato il New York Times: dopo il tramonto le strade si svuotano in fretta, i ristoranti chiudono alle 20 e c’è il divieto di vendere alcool dopo le 17 in modo da incoraggiare le persone a stare a casa la sera. Anche i semafori non funzionano, le pompe di benzina di molte città non sono rifornite di carburante e attorno a quelle poche che ce l’hanno si creano delle code lunghissime. Le attività della base navale russa nel Mar Nero, a Sebastopoli, non sono invece state condizionate dal blackout. Il New York Times ha scritto che «il sogno dei crimeani di diventare la prossima Sochi, il posto da 50 miliardi di dollari che nel 2014 ha ospitato le Olimpiadi invernali, si è scontrato con il prezzo del petrolio che ha ritardato la realizzazione di questi megaprogetti da parte della Russia».
Problemi dell’esercito ucraino
Come i ribelli si sentono abbandonati dalla Russia, l’Ucraina si sente abbandonata dagli stati occidentali che lo scorso anno avevano promosso gli accordi di pace. Un recente articolo del Washington Post ha raccontato il pessimo stato dei mezzi ed equipaggiamenti militari che gli Stati Uniti stanno mandando da mesi all’esercito ucraino. Per esempio, fuori dalla città di Donetsk un’unità delle forze speciali ucraine sta usando degli Humvee – un mezzo militare di ricognizione – forniti dagli Stati Uniti e datati probabilmente tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta: tre Humvee hanno le porte e i finestrini di plastica, cioè non sono in grado di fornire alcun tipo di protezione ai soldati che ci stanno dentro. Un altro mezzo si è rotto dopo avere percorso solo poche centinaia di chilometri: secondo un meccanico sentito dal Washington Post a causa del fatto che è stato tenuto troppo tempo in magazzino, prima di essere usato. Non è chiaro quanto materiale di seconda mano e antiquato sia stato mandato all’Ucraina: il governo statunitense ha comunque inviato anche dell’equipaggiamento nuovo, come dei visori notturni e dei kit di primo soccorso.
Un vecchio Humvee con i pneumatici usurati vicino al fronte di guerra ucraino, il 6 novembre 2015. (Thomas Gibbons-Neff/The Washington Post)
Il portavoce del dipartimento della Difesa statunitense non ha voluto commentare direttamente la questione, dicendo solo che gli Stati Uniti continueranno a mandare l’equipaggiamento militare e a fornire addestramento agli ucraini. Un funzionario del dipartimento della Difesa ha però ammesso che l’amministrazione americana era completamente impreparata a un intervento russo così massiccio in Ucraina e che ha dovuto rispondere alle richieste di aiuto dell’Ucraina da un giorno all’altro: «Volevamo mandare le cose là il prima possibile, ma non avevamo una quantità appropriata di soldi per questa crisi. Significa che tutto era perfetto? Certamente no».
La corruzione del governo ucraino, un “secondo fronte di guerra”
Oltre alla questione dell’esercito, l’Ucraina sta affrontando un problema enorme di corruzione che la giornalista Anne Applebaum ha definito su Slate “un secondo fronte di guerra”. Applebaum scrive che il primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk sta cercando per esempio di eliminare gli intermediari che operavano nel mercato del gas ucraino e facevano gonfiare significativamente il prezzo del gas; ha cominciato a licenziare i funzionari corrotti, mettendo i loro nomi – si parla di più di 700 persone – in un registro speciale che indica coloro che non possono più ricoprire un incarico di governo. Per esempio, pochi giorni fa il vice di Yatsenyuk, Mykola Martynenko, si è dimesso dal suo incarico dopo che un’indagine lo aveva accusato di usare il suo ruolo in Parlamento per arricchirsi illegalmente. Un’altra misura è stata la digitalizzazione dei servizi forniti dal governo, perché «le macchine non prendono tangenti». Le riforme attuate finora non sembrano però sufficienti a risolvere il problema della corruzione e il governo non sembra avere le forze per sostituire il vecchio sistema con una burocrazia nuova ed alternativa. Senza contare che anche il sistema giudiziario, che funziona poco e male, andrebbe riformato.
E quindi?
Da diversi mesi i principali stati che parteciparono alla firma degli accordi di Minsk – Russia, Stati Uniti, Francia e Germania – hanno priorità diverse. Il governo russo ha cominciato a bombardare i ribelli in Siria per aiutare il regime di Assad, suo alleato; gli Stati Uniti sono impegnati nella guerra contro l’ISIS in Siria e in Iraq; anche la Francia ha intensificato la sua azione contro lo Stato Islamico, soprattutto dopo gli attentati di Parigi, e insieme alla Germania e agli altri paesi europei sta affrontando la grave crisi dei migranti. Gli aiuti militari che gli Stati Uniti stanno garantendo all’Ucraina, ha detto Evelyn Farkas, ex funzionario della Difesa americano, rappresentano il desiderio dell’amministrazione di Obama di «fare abbastanza per permettere agli ucraini di poter difendere militarmente il loro territorio». Non vuol dire però che gli aiuti saranno sufficienti a frenare un eventuale attacco futuro dei ribelli.
Dall’altra parte diversi analisti credono che l’obiettivo di Putin non sia annettere i territori dell’Ucraina orientale. Volodymyr Fesenko del centro studi Penta ha detto che la Russia vuole che i ribelli ottengano la massima rappresentanza possibile nelle strutture ucraine, di modo da usarla per indebolire in maniera costante l’autorità di Kiev: «Formalmente sarà Ucraina, ma di fatto sarà Russia: un “conflitto congelato”».