I sarti giapponesi fanno i jeans migliori di tutti
E anche gli abiti da uomo eleganti: sono precisi, attenti ai dettagli, e sanno riprodurre perfettamente lo stile sartoriale di ogni nazione
di Enrico Matzeu – @enricomatzeu
Molte grandi aziende occidentali, italiane comprese, realizzano spesso gli abiti in Giappone perché i sarti sono molto preparati e prestano una notevole attenzione ai dettagli. Ne parla Mark C. O’Flaherty sul Financial Times, dove spiega che il fenomeno riguarda soprattutto gli abiti classici da uomo e i capi d’abbigliamento in jeans.
Le aziende giapponesi sono apprezzate per la precisione sartoriale, la cura nel taglio e nelle rifiniture, e soprattutto per la capacità di sperimentare e applicare velocemente nuove tecniche di taglio e cucito. Secondo Rie Nii, tra i curatori del Kyoto Costume Institute, un importante museo giapponese, gli stilisti giapponesi sono bravi nel cucito e nella sperimentazione sartoriale perché la loro formazione inizia con l’uso dell’ago e del filo. Inoltre vengono coinvolti dall’inizio in tutti i processi produttivi: dalla creazione del tessuto all’abito finito.
I giapponesi sono particolarmente abili con le fibre sintetiche, sviluppate in Giappone dopo la Seconda guerra mondiale: dagli anni Ottanta si è formata un’intera generazione di stilisti che ha perfezionato la produzione e l’impiego di questi nuovi materiali. Tra i più rilevanti ci sono Rei Kawakubo, fondatrice del marchio giapponese Comme des Garçons, e Issey Miyake. Kawakubo ha sempre creato abiti strutturati e scenografici, che l’hanno portata a studiare molte nuove tecniche. La stessa cosa ha fatto Miyake, che ha un approccio molto più legato all’industria e alla manifattura: ha fatto molte sperimentazioni con i tessuti, utilizzando materiali riciclati, impiegando tecniche di lavaggio e di plissettatura sempre nuove. Ha creato anche una linea, la HaaT, incentrata sul rapporto tra il creativo e l’artigiano, in cui ha messo a punto nuove tecniche di tessitura e di cucitura.
In Italia una delle aziende dedicate esclusivamente all’abbigliamento maschile che fa produrre i suoi capi in Giappone è Zegna, fondata da Ermenegildo Zegna a Treviso nel 1910. Recentemente il suo direttore creativo Stefano Pilati ha presentato nella boutique di Tokyo una capsule collection (una collezione occasionale e composta da meno elementi rispetto a quelle tradizionali) realizzata proprio nelle sartorie giapponesi. Ha spiegato che è possibile produrre in Giappone perché «non è più necessario enfatizzare che Zegna è un brand italiano: chi è che ancora non lo sa?».
Hanno fatto una scelta simile anche altre importanti aziende americane come Thom Browne o inglesi come Casely-Hayford. Secondo lo stilista Joe Casely-Hayford, infatti, solo i giapponesi riescono a creare lo stile sartoriale inglese riproducendo quello originale: anche gli italiani lavorano molto bene, ma un abito cucito in Italia è subito riconoscibile come italiano, mentre i giapponesi «sono capaci di reinterpretare l’essenza culturale di ogni nazionalità». Lo stilista giapponese Yohji Yamamoto aveva spiegato qualche anno fa che l’industria tessile del suo paese ha standard molto alti e meticolosi ed è questo che li rende competitivi rispetto ai vicini cinesi. I marchi occidentali che scelgono di produrre in Giappone non lo fanno per diminuire i costi, ma per alzare il livello dei loro prodotti.
I giapponesi sono anche rinomati per la lavorazione del denim, come conferma il famoso sarto londinese Timothy Everest, che lo utilizza per il suo servizio di sartoria “su misura”: «lo usiamo per tutto, dai jeans alle giacche, e laviamo con il sale ogni capo nel cortile dietro all’atelier». Il posto in cui si produce il migliore tessuto di jeans è la città di Okayama, nel sud del Giappone, in grado di realizzare una trama più stretta e una colorazione naturale attraverso l’indaco, un pigmento di origine vegetale, che dà al jeans il suo tradizionale colore blu.