Come ha fatto Waterstones a uscire dalla crisi
Nel 2011 la catena di librerie più grande del Regno Unito aveva debiti per 240 milioni di euro; poi l'ha acquistata un miliardario russo che ha chiamato a dirigerla il capo di un'azienda rivale
Waterstones – la più grande catena di librerie del Regno Unito, con più di 270 punti vendita – ha ripreso a fare profitti per la prima volta dalla crisi finanziaria del 2008, grazie soprattutto a una serie di cambiamenti introdotti da James Daunt, amministratore delegato dal 2011. In un’intervista al Guardian, Daunt ha dice che i guadagni di quest’anno sono «molto consistenti» e che si tratta del «migliore risultato dell’azienda negli ultimi sette, otto anni».
Un dato notevole è che la ripresa di Waterstones è legata soprattutto alla vendita di libri cartacei, che è in crescita in tutto il settore: nella prima metà del 2015 è aumentata del tre per cento, per la prima volta dal 2012. Al contrario invece il mercato dei libri digitale e degli e-reader è in una fase di profonda stagnazione, tanto che a ottobre Daunt ha deciso di non vendere più Kindle, il lettore di ebook prodotto da Amazon dal 2009. Daunt spiega che «ho sempre pensato che saremmo arrivati a un punto di equilibrio con i libri digitali: prima c’è stato un boom, poi una crisi e ora si stanno stabilizzando. È un processo piuttosto intuitivo, e in effetti è quello che sta succedendo». I libri digitali e quelli cartacei, dice, sono due prodotti radicalmente diversi e che spesso l’esperienza e il ricordo dei libri digitali sono meno intensi di quelli fisici. Per questo, sostiene, gli ebook più venduti sono «romanzi di narrativa letti per pura evasione».
La ripresa di Waterstones è ancora più interessante se si tiene conto della storia di Daunt. Fino al 2011 infatti era a capo di una catena con sei librerie indipendenti a Londra, la Daunt Books, che aveva fondato a 26 anni dopo aver lasciato una carriera in banca molto redditizia. La Daunt Books era l’antitesi di Waterstones e anziché grossi sconti e offerte e proponeva una maggior cura e attenzione alle richieste dei clienti. All’epoca Waterstones – fondata da Tim Waterstone nel 1982, ed entrata nel gruppo di negozi musical HMV nel 1998 dopo alcuni passaggi di proprietà – era in un periodo di crisi e aveva un debito di 170 milioni di sterline (circa 240 milioni di euro). Venne acquistata dal miliardario russo Alexander Mamut per 53 milioni di sterline (75 milioni di euro), che si rivolse a Daunt per rimetterla in piedi.
Daunt per prima cosa tagliò i costi: licenziò metà dei dirigenti e un terzo dello staff delle librerie. Poi diede più potere decisionale alle singole librerie: ognuna poté scegliere che titoli proporre e in quali quantità ordinarli, per creare un legame con il territorio e fidelizzare i clienti. Cambiarono così i tradizionali rapporti tra gli editori e Waterstones: prima alle case editrici bastava pagare per piazzare i propri libri negli scaffali migliori delle librerie; in cambio Waterstones incassava 30 milioni di sterline all’anno (circa 42 milioni di euro).
Daunt ha spiegato il sistema nel dettaglio: quando i grossi editori volevano presentare un nuovo libro andavano da Waterstones dicendo qualcosa di simile a «queste sono 20mila copie e questo è un assegno da 20mila sterline per prenderle, se le prendete saranno al terzo posto della vostra classifica dei libri più venduti». Il libro diventava un bestseller anche se vendeva al pubblico poche copie perché le classifiche dei libri più venduti calcolavano solo le copie vendute alle librerie e non alle persone (oggi il sistema è cambiato, anche in Italia). Le librerie si ritrovavano spesso con migliaia di copie invendute da rendere all’editore (con i relativi costi di spedizione), che provocavano sul lungo periodo una perdita di qualità e un allontanamento dei clienti. L’interruzione di questa pratica ha aumentato la vendita di libri, perché sono incentrati sui gusti del pubblico, e diminuito le rese dal 23 al 4 per cento, con un grande risparmio sui costi di spedizione.
Ora l’approccio generale di Waterstones – che offre più di 150mila titoli – è di prendere a modello le librerie tradizionali, allontanandosi dalla grande distribuzione: sono state abbandonate le offerte 3×2, i commessi non portano più una divisa ma devono conoscere i libri esposti e saper consigliare i clienti. Secondo Daunt sono il rapporto umano e la bravura dei librai a fare la differenza tra Waterstones e Amazon. Waterstones, dice Daunt, non è ancora al riparo dalla recessione che ha colpito il mercato dei libri e in particolare le grandi catene, ma si dice fiducioso: in futuro vorrebbe aprire nuovi punti vendita nelle stazioni e negli aeroporti.