Come il Tamigi è tornato pulito
Negli anni Cinquanta fu dichiarato "biologicamente morto", "una fogna a cielo aperto": oggi sono tornate foche, focene e persino balene
Il Tamigi è il più famoso fiume del Regno Unito: nasce a Kemble, nel Gloucestershire, e scorre per 346 chilometri attraverso il sud dell’Inghilterra e Londra, sfociando infine nel Mare del Nord. Anche se non è il fiume più lungo del Regno Unito e nemmeno quello che “porta” più acqua, è quello storicamente più importante: sulle sue rive è stata costruita Londra e il suo bacino idrografico è abitato da 15 milioni di persone, circa un quarto degli abitanti di tutto il Regno Unito. Grazie al Tamigi e attorno al Tamigi, Londra, l’Inghilterra e più in generale il Regno Unito hanno costruito nei secoli la loro forza industriale, la loro prosperità e la loro ricchezza. In tutto ciò, tuttavia, il Tamigi è diventato sempre più inquinato, al punto che nel 1957 il Museo di storia naturale di Londra dichiarò il fiume “biologicamente morto”: c’era troppo poco ossigeno perché degli animali potessero in genere riuscire a viverci e «il fango puzzava di uova marce». Da quel momento la situazione del Tamigi è gradualmente migliorata: il fiume è oggi “resuscitato” e tornato pulito.
I problemi del Tamigi erano iniziati in realtà molto prima del 1957: già nel 1878 il Tamigi era così inquinato da aver causato la morte di alcune persone. In quell’anno la nave a vapore SS Princess Alice affondò nel Tamigi per una collisione e morirono più di 600 suoi passeggeri. Si pensa – scrive il Telegraph – che alcune di quelle persone non morirono perché restarono intrappolate nella nave o perché affogarono, ma perché finirono intossicate dalle acque del fiume.
La condizione del Tamigi era già discussa a fine Ottocento, peggiorò molto nei primi decenni del Novecento e divenne gravissima negli anni dopo la Seconda guerra mondiale, i cui bombardamenti avevano distrutto le fognature di Londra facendo aumentare la quantità di acque inquinate che venivano riversate nel fiume. Nel 1959 il Guardian – che al tempo si chiamava Manchester Guardian – parlò del Tamigi come di una fogna a cielo aperto e il giornalista che firmò l’articolo scrisse che «non si sarebbe potuto trovare ossigeno per molte miglia sopra o sotto il London Bridge». C’era però anche chi non condivideva la preoccupazione per la situazione del Tamigi. Sempre nel 1959, il Guardian citava in un suo articolo un membro della Camera dei Lord che parlò dei fiumi come di «canali naturali per accogliere i rifiuti» e che scaricando rifiuti dentro al Tamigi si dava «qualcosa da fare» al fiume, lo si teneva impegnato.
Dagli anni Sessanta Londra e il Regno Unito si ripresero del tutto dalla guerra e migliorò gradualmente anche la loro situazione economica. Il benessere e la crescente consapevolezza ecologica degli anni Settanta e Ottanta portarono governi e associazioni a dedicarsi al problema del Tamigi e a impegnarsi per pulirlo e farlo “risorgere” dalla sua morte biologica. Un po’ grazie agli impegni di governi e associazioni, e un po’ perché sono cambiate le dinamiche con cui le industrie producono e riciclano, oggi il Tamigi sta molto meglio: si stima che a oggi nelle sue acque ci siano circa 125 specie diverse di pesci e si cominciano a rivedere foche, focene e, in rari casi, certe specie di balene.
Dave Morrit, che si occupa di ecologia acquatica per la University of London, ha spiegato che sebbene il Tamigi sia oggi molto più pulito, c’è ora un nuovo e crescente problema: la plastica. Uno studio della University of London per esempio ha mostrato che circa il 70 per cento delle platesse trovate nel 2015 nel Tamigi avevano ingerito pezzi di plastica. I pesci si trovano quindi in acque più pulite (con più ossigeno) ma più inquinate dai rifiuti (plastica soprattutto). Per provare a mantenere pulito il Tamigi nel settembre 2015 è iniziata la campagna Cleaner Thames (il nome inglese del Tamigi), incentrata proprio sulla plastica.