Il romanzo meno famoso di Charlotte Brontë
Si intitola "Shirley", viene ripubblicato oggi in Italia dopo 20 anni, e come "Jane Eyre" parla di amore e matrimoni contrastati
Shirley è il secondo romanzo di Charlotte Brontë, scritto dopo Jane Eyre e prima di Villette. Meno noto del primo, ma costruito attorno agli stessi snodi tematici, racconta la storia di Shirley, una donna giovane, ricca e tenace che eredita un terreno e parte di una fabbrica in un villaggio inglese, in cui si trasferisce. Lì conosce Caroline, il suo esatto opposto: giovane orfana, nullatenente e molto dolce. Caroline si innamora di Robert Moore, imprenditore pieno di debiti che, nonostante ricambi il suo sentimento, non può permettersi di sposarsi per amore. Shirley è stato pubblicato in Italia la prima volta da Mondadori nel 1995, ma è uscito presto fuori catalogo. A distanza di anni Fazi Editore ha deciso di riproporre l’opera di Brontë, compreso Shirley, che esce oggi, 20 novembre, nella nuova edizione italiana.
In una lettera che scrisse al fratello Theo nel 1881 Vincent van Gogh parlò così del romanzo:
«Non so se hai mai letto libri in inglese. Se è così, allora posso raccomandarti calorosamente Shirley di Currer Bell, autore di un altro romanzo, Jane Eyre. È bello come i dipinti di Millais o Boughton o Herkomer. L’ho trovato a Princenhage e l’ho letto in tre giorni».
Currer Bell era lo pseudonimo maschile che Charlotte decise di adottare per non rischiare che il successo dei suoi libri venisse ostacolato dai pregiudizi, molto comuni all’epoca, nei confronti delle donne. Charlotte Brontë, sorella maggiore delle altre due scrittrici Emily e Anne, nacque a Thornton nel 1816. Compì studi irregolari e si dedicò all’insegnamento e alla scrittura. Oltre a Jane Eyre, il suo romanzo più famoso pubblicato nel 1847, scrisse Shirley nel 1849, Villette nel 1853 e un romanzo di esordio, The Professor, che venne però pubblicato postumo. Charlotte morì a Haworth nel 1855. Dei suoi romanzi Fazi ha pubblicato Villette nel 2013.
L’estratto racconta l’amore di Caroline per Robert e il tormento che ne deriva: è tratto dal VII Capitolo, intitolato I tre curati si fermano per il tè.
***
Ma quanto detto in queste due ultime pagine non riguarda i sentimenti di Caroline Helstone o lo stato delle cose tra lei e Robert Moore. Robert non le aveva fatto alcun torto, non le aveva mentito: se c’era qualcuno da biasimare, era Caroline. L’amarezza che sgorgava dal suo animo sarebbe caduta su di lei. Lo aveva amato senza che lui glielo avesse chiesto: una cosa naturale, talvolta inevitabile, ma gravida di infelicità. Robert, infatti, era talvolta sembrato innamorato di Caroline… ma perché? Perché lei gli si era resa così piacevo le che Robert, nonostante i suoi sforzi, non aveva potuto fare a meno di lasciar trapelare quel sentimento che la sua volontà non approvava affatto. Egli aveva, perciò, deciso di evitare una stretta vicinanza con la ragazza, per non trovarsi inestricabilmente impigliato nell’amore e quindi tratto, contro ragione, a un matrimonio che giudicava incauto. E Caroline cosa doveva fare? Dare libero sfogo ai propri sentimenti o soffocarli? Aprirsi a lui o rinchiudersi in se stessa? Per debolezza… avrebbe scelto il primo espediente e così avrebbe perduto la stima di Robert, guadagnandone invece l’avversione; per buon senso, si sarebbe fatta sostenitrice di se stessa, reprimendo e dominando il disordinato reame delle proprie emozioni. E così avrebbe imparato a guardare con fermezza la vita, ad apprenderne le dure verità, a studiarne attentamente e coscienziosamente gli spinosi problemi.
Sembrò che avesse del buon senso: si allontanò da Moore con calma, senza domande o lagnanze, senza il fremito di un muscolo o il luccichio di una lacrima. Si diresse verso la casa per la solita lezione con Hortense, e all’ora di pranzo rientrò al rettorato, evitando ogni indugio. E dopo il pranzo, avendo lasciato lo zio in compagnia di un modesto bicchiere di Porto ed essendo ora sola nel salotto del rettorato, le si presentò l’imbarazzante problema: “Come arrivare alla fine di questa giornata?”. La sera prima aveva sperato che l’oggi sarebbe stato come il giorno precedente, un’altra serata da trascorrere nella felicità, con Robert. Al mattino aveva subito afferrato l’errore, ma ancora non riusciva a ricomporsi, persuasa che non ci sarebbe più stata occasione di un nuovo invito a Hollow’s Mill o, comunque, che Moore tornasse a porsi in contatto con lei. Più di una volta Robert era capitato dopo l’ora del tè, per stare un poco con lo zio di Caroline: verso il crepuscolo, quando lei meno se l’aspettava, ecco suonare il campanello, poi la voce di lui nel corridoio… così era accaduto due volte anche dopo che Robert l’ebbe trattata con particolare freddezza e, sebbene in presenza dello zio lui quasi non le rivolgesse la parola, pure l’aveva guardata senza posa, seduto di fronte a lei al tavolo di lavoro. Aveva un modo speciale di darle la buonasera. “Potrebbe accadere anche stasera” le suggeriva la Falsa Speranza, e Caroline quasi capiva che era la Falsa Speranza a esalare quel sussurro, eppure ascoltava.
Provò a leggere… ma non riusciva a fermar l’attenzione; provò a lavorare d’ago… ogni punto le recava una noia insopportabile: si mise alla scrivania per tentare con un tema in francese… ma accumulò solo degli errori. E all’improvviso suonò il campanello; le balzò il cuore in petto; Caroline si precipitò alla porta del salotto, la socchiuse e guardò dallo spiraglio: Fanny faceva passare qualcuno… un signore… alto proprio come Robert. Per un secondo credette che fosse Robert; per un secondo si sentì invasa dall’esultanza, ma la voce che chiedeva del reverendo Helstone le tolse l’illusione: aveva quel tal accento irlandese… non era la voce di Moore ma quella del curato Malone, che entrò in sala da pranzo e senza dubbio aiutò il rettore a vuotare rapidamente la caraffa del Porto.
È da notare che, in qualsiasi casa di Briarfield, Whinbury o Nunnely nella quale un curato si presentasse a mangiare a pranzo o per il tè, dopo il primo, arrivava subito il secondo, e spesso anche il terzo. Non che si dessero appuntamento, ma sta il fatto che erano in giro tutti e tre alla stessa ora. Se per esempio Donne cercava Malone e non lo trovava in casa, subito chiedeva alla padrona dove mai fosse andato e, saputa la destinazione, si metteva in gran fretta sulle sue tracce; poi arrivava Sweeting con la stessa intenzione e ripartiva con lo stesso scopo. Così, quel pomeriggio, le orecchie di Caroline furono tormentate ben tre volte dal campanello della porta d’ingresso e dall’arrivo di ospiti indesiderati: Donne seguì Malone, e Sweeting seguì Donne. Dalla cantina fu portato su altro vino (giacché il vecchio Helstone usava rampognare i tre del basso clero se li trovava “in gozzoviglie” nei loro appartamenti, ma quando li aveva alla sua tavola gerarchica si compiaceva di offrire loro un bicchiere del suo vino migliore), e Caroline ne udì le risatine sciocche, gli schiamazzi, le vuote chiacchiere, attraverso la porta chiusa. Ed ebbe paura che si fermassero per il tè, non avendo lei nessun piacere di intrattenersi con quel particolare terzetto. Quante distinzioni si fanno! Erano tre giovanotti… colti e dell’età di Moore, ma quale differenza! La compagnia di quel trio era un fastidio, quella di Moore una delizia!
Ma Caroline non fu soltanto favorita dalla loro compagnia clericale; la Fortuna le stava portando altri quattro ospiti, stavolta di genere femminile, che in quel momento erano stipati dentro una carrozza a quattro ruote, tirata da due pony, in corsa sulla strada da Whinbury. Ed erano una signora di mezz’età e le sue tre avvenenti figliole che venivano per una “visitina amichevole”, com’era d’uso in quei paraggi. Sì! Il campanello squillò una quarta volta, e Fanny si presentò in salotto ad annunciare «la signora e le signorine Sykes». Caroline, quando doveva ricevere visite, diventava nervosa: si torceva le mani, arrossiva e si slanciava incontro agli ospiti con un misto di fretta e di esitazione, desiderando in cuor suo di trovarsi agli antipodi. Essendo, in tali momenti critici, tristemente carente di modi raffinati, sebbene fosse andata a scuola per un anno, eccola che attende l’ingresso di mezza famiglia Sykes, tormentandosi senza pietà quelle sue povere, bianche manine!
© 2015 Fazi Editore , Roma