L’Arabia Saudita ha condannato a morte un poeta
È accusato di blasfemia, di aver fatto propaganda per l'ateismo, di aver fumato e di avere i capelli lunghi
Ashraf Fayadh è un artista e poeta di 35 anni, nato in Arabia Saudita. Il 19 novembre un tribunale saudita lo ha condannato a morte, accusandolo di aver rinunciato all’Islam, di aver fatto propaganda per l’ateismo e di aver fatto alcune cose contrarie alla legge (avere i capelli lunghi e avere immagini di donne sul suo smartphone, per esempio). A Fayadh – che si è dichiarato un “musulmano fedele” – sono stati dati 30 giorni per appellarsi contro la sua condanna a morte: l’Arabia Saudita e le sue leggi non sono però note per permettere una legittima e democratica difesa ai suoi imputati. Fayadh per esempio ha spiegato che durante il processo non ha avuto diritto a un avvocato.
Fayadh è membro di Edge of Arabia, un’associazione artistica britannico-saudita, è l’autore del libro Instructions Within (“istruzioni all’interno”), pubblicato nel 2008. Negli ultimi anni è stato il curatore di alcune importanti mostre d’arte, una delle quali è stata organizzata alla Biennale di Venezia. David Betty – che si occupa di Medio Oriente per il Guardian – ha spiegato che Fayadh fu arrestato una prima volta nell’agosto 2013, con l’accusa di aver bestemmiato, di aver insultato l’Arabia Saudita e di aver illegalmente distribuito il suo libro, pubblicato all’estero. Fayadh ha spiegato che l’accusa è nata dopo una sua discussione con un altro artista in un “art cafe” di Abha, una città di circa mezzo milione di abitanti nel sud dell’Arabia.
Il giorno dopo il suo arresto Fayadh fu rilasciato su cauzione. Il primo gennaio 2014 Fayadh è stato arrestato di nuovo, gli sono stati confiscati i documenti d’identità ed è stato imprigionato per alcuni giorni. Secondo quanto detto da alcuni amici di Fayadh al Guardian, il secondo arresto è arrivato perché Fayadh era accusato di aver fumato e di avere i capelli lunghi; nel maggio 2014 ha avuto una prima condanna a 4 anni di prigione e a 800 frustate. Lui si è appellato contro quella sentenza, la corte saudita non ha accettato l’appello e ha anzi deciso di fare un nuovo processo, che ha portato alla sua condanna a morte. Secondo il Guardian la condanna a morte è motivata dal “mancato pentimento” di Fayadh, che nelle ultime ore ha detto: «Sono davvero scioccato ma me l’aspettavo, nonostante non abbia fatto niente per meritarmi la morte».
Saudi court sentences Palestinian Poet Ashraf Fayadh to death for apostasy #FreeAshraf https://t.co/ZCEALZ9Yk2 pic.twitter.com/vUdYuzJJkD
— Ralph Leonard (@buffsoldier_96) November 20, 2015
Mona Kareem, un’attivista del Kuwait che sta guidando la campagna per la difesa del poeta, ha detto al Guardian: «Per un anno e mezzo gli hanno promesso un appello e hanno continuato a minacciarlo di avere nuove prove». Kareem ha detto anche che il giudice che ha fatto il nuovo processo a Fayadh (quello che l’ha condannato a morte) non gli ha nemmeno mai parlato. In molti credono – e Kareem è una di loro – che la vera ragione della condanna di Fayadh stia in un video che lui ha pubblicato mesi fa su YouTube. Il video – girato a Abha e ora non più online – mostrava i mutaween sauditi (una polizia religiosa, che vigila sul rispetto della sharia) mentre fustigavano un uomo in pubblico. Kareem ha anche spiegato che l’accanimento nei confronti di Fayadh è motivato anche dal fatto che, sebbene sia nato in Arabia Saudita, è un rifugiato palestinese.
Fayadh ha spiegato che il suo libro, Instructions Within, «riguarda solo la sua storia di rifugiato palestinese» e parla di argomenti culturali e filosofici. Oltre che per blasfemia, Fayadh è stato accusato anche per aver avuto relazioni con alcune donne e per aver conservato alcune delle loro foto sul suo cellulare. I documenti del processo dicono che Fayadh ha ammesso le sue relazioni con quelle donne, spiegando che, come lui, sono artiste e che quelle foto – alcune delle quali pubblicate anche sul suo profilo Instagram – sono state scattate durante la Jeddah Art Week, un evento importante, legale e ufficiale organizzato in Arabia Saudita.
La condanna di Fayadh, e le molte e confuse accuse che nel tempo gli sono state rivolte, sono indicative di una crescente tensione in Arabia Saudita, dove un dinamico gruppo di artisti contemporanei, che vivono soprattuto nell’area di Abha, si deve confrontare con uno stato repressivo. Tra il 1985 e il 2013 in Arabia Saudita sono state uccise dopo una condanna a morte oltre duemila persone; secondo i dati di Amnesty International tra l’agosto 2014 e il giugno 2015 ci sono state 175 decapitazioni.