La Turchia e il PKK combattono ancora
Nell'ultima settimana ci sono stati scontri nelle zone filo-curde del paese, con morti e feriti anche fra i civili
Negli ultimi giorni in Turchia, a circa tre settimane dalle elezioni stravinte dal partito del controverso presidente Recep Tayyip Erdoğan, stanno continuando scontri e tensioni fra l’esercito e i separatisti del partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), un partito curdo che per decenni ha combattuto per creare uno stato autonomo per i curdi e che è stato dichiarato fuorilegge in Turchia. Il 5 novembre il PKK ha interrotto una tregua di un mese indetta in vista delle elezioni, e da quel momento sono ripresi attacchi dello stesso PKK e operazioni militari del governo.
La settimana scorsa una delle città più coinvolte è stata Silvan, nel sudest della Turchia, dove durante un’operazione del governo in cui sono morti 5 membri del PKK sono state colpite diverse strade e abitazioni. Il governatore di Mardin, una città vicina al confine con la Siria, ha detto che la settimana scorsa un’altra operazione del governo contro il PKK ha causato la morte di 10 membri del PKK e di due civili. In alcune zone di Diyarbakir, la più importante città della parte curda della Turchia, i combattenti curdi hanno costruito barricate che stanno sorvegliando con le armi.
Circa il 20 per cento dei 74 milioni di cittadini turchi sono di lingua curda e negli ultimi decenni hanno subito ogni sorta di persecuzioni. Per anni i governi turchi hanno negato la stessa esistenza del popolo curdo, che ha subito discriminazioni, deportazioni e massacri. Secondo alcuni, la legge elettorale turca è stata pensata per impedire ai curdi di intervenire nella politica nazionale: lo sbarramento al 10 per cento in vigore in Turchia è stato superato da un partito curdo per la prima volta soltanto lo scorso giugno. Gli scontri fra PKK e governo sono ripresi in estate dopo il fallimento di nuovi negoziati di pace, e si sono interrotti formalmente solo nel mese di ottobre in vista delle elezioni.
La tensione è tornata piuttosto alta anche martedì 17 novembre quando durante l’insediamento dei nuovi parlamentari Leyla Zana, una parlamentare del partito filocurdo HDP, ha modificato il proprio giuramento da parlamentare pronunciandolo parzialmente in curdo e cambiato il riferimento al “popolo turco” – cioè di etnia turca – in “popolo della Turchia”. Zana aveva già fatto una cosa simile quanto nel 1991 giurò da parlamentare diventando la prima donna curda a entrare in Parlamento, e fra il 1994 e il 2004 è stata in prigione a causa di presunti legami col PKK. Secondo il quotidiano turco Zaman, finché Zana non pronuncerà il giuramento nella modalità corretta non potrà prendere parola o votare in Parlamento, ma solamente partecipare alle sedute. Alla divisione turca di CNN Zana ha detto che non ha intenzione di ripetere il giuramento per una seconda volta. L’HDP, che è entrato per la prima volta in Parlamento nelle elezioni di giugno 2015, a quelle di novembre ha deluso le altissime aspettative nei propri confronti superando di pochi decimi lo sbarramento.
Oltre alla complicata situazione coi turchi, fra l’altro, il governo turco ha anche diversi altri problemi fra cui un’economia un po’ ferma, la lotta contro l’ISIS – ritenuto il principale responsabile del grave attentato ad Ankara del 10 ottobre – e i lunghi e finora inconcludenti negoziati con l’Unione Europea per limitare il numero dei rifugiati diretti in Europa proprio dalla Turchia.