Anonymous può davvero fare la guerra all’ISIS?
Il collettivo di hacker ha annunciato che bloccherà gli account con cui lo Stato Islamico fa propaganda, ma è meno semplice di quanto sembra
Un video di Anonymous – un collettivo di attivisti hacker – è incominciato a circolare online dopo gli attentati di venerdì a Parigi. Nel video viene promesso di fare la guerra online all’ISIS, lo Stato Islamico. Era proprio ciò in cui speravano molti giornali: i vigilanti contro la grande propaganda dell’ISIS sui social media, l’occasione per raccontare con toni sensazionalistici una sfida come fosse “Godzilla contro King Kong”, per metterla come l’ha definita un utente su Twitter. Ma come avviene spesso con molte guerre cibernetiche che sembrano essere uscite dalla trama di un film, la guerra online contro lo Stato Islamico – e altri gruppi estremisti – è più complicata di come potrebbe sembrare. Questa guerra poi è già stata combattuta ed è iniziata da un pezzo.
Tenendo presente tutto questo, qui ci sono un po’ di cose che dovreste sapere sull’annuncio di Anonymous e, più in generale, sulla grande battaglia che si combatte online per ridurre la presenza dello Stato Islamico su Internet e limitare la sua capacità di influenzare le persone.
– Anonymous non ha appena iniziato una “guerra” contro l’ISIS
La dichiarazione di guerra dello scorso fine settimana non è tanto un annuncio di una nuova campagna: semmai è il modo per fare conoscere un’operazione legata ad Anonymous già in corso, che si chiama #OPISIS. È iniziata in seguito alla strage di Charlie Hebdo a Parigi, e da allora si è divisa in una serie di operazioni distinte e indipendenti – che non riguardano solo Anonymous – con lo scopo di fermare la propaganda dell’ISIS sui social media.
Le varie operazioni in molti casi si sovrappongono, ma questo non significa che siano tutte la stessa cosa o che concordino sul metodo migliore per affrontare lo Stato Islamico online. Le stesse relazioni tra le diverse iniziative sono cambiate nel corso del tempo. Non si tratta di un fenomeno così infrequente in questo genere di cose: anche se Anonymous viene spesso definito un collettivo di hacker che agisce come un’unica entità, non si tratta in realtà di un gruppo unito e non è del resto nato per essere monolotico.
Targeted IS accountshttps://t.co/EaqSHcy4yThttps://t.co/eHOYFiAw1Lhttps://t.co/ujtNEoS7AA#targets #iceisis #opiceisis
— CtrlSec (@CtrlSec) November 17, 2015
Basta osservare un’operazione contro l’ISIS avviata già da tempo e che si è sviluppata all’esterno di Anonymous come “@ctrlsec”. Questa iniziativa usa un account Twitter per inviare messaggi in cui sono elencati i profili che collaborano con l’ISIS, almeno secondo i loro gestori. Gli altri utenti di Twitter sono invitati a seguire @ctrlsec e a segnalare al social network il maggior numero possibile di account legati all’ISIS, in modo che possano essere disattivati dal sistema.
– Questa operazione riguarda principalmente Twitter
Quando si parla attacchi coordinati online contro lo Stato Islamico di solito si pensa a campagne realizzate su Twitter, come del resto dice lo stesso video di Anonymous circolato in questi giorni.
Il gruppo estremista ha una presenza ampia e ben visibile sul social network, che da tempo ha attirato l’attenzione degli esperti di sicurezza. Martedì l’account “Operation Paris” ha scritto di avere segnalato 5.500 account usati dallo Stato Islamico per la loro rimozione. È difficile verificare un’affermazione simile, ma dimostra quali siano i piani di “Operation Paris”, ora che ha attirato l’attenzione.
https://twitter.com/opparisofficial/status/666553008541552640
Secondo un recente rapporto di J.M. Berger e Jonathon Morgan della Brookings Institution, alla fine del 2014 gli account Twitter attivi riconducibili allo Stato Islamico e ai suoi sostenitori erano 46mila. Si stima che ci siano tra i 500 e i 2mila utenti di rilievo dell’ISIS su Twitter, che hanno la capacità di trascinare gli altri e di mantenere alta l’attenzione sul gruppo estremista, dicono i due autori. Il numero di account ISIS è salito notevolmente nel settembre del 2014, proprio nel periodo in cui Twitter aveva iniziato a sospendere molti profili perché ritenuti legati allo Stato Islamico. Berger ritiene che gli sforzi per identificare e sospendere questo tipo di account sui social media sia essenziale per rispondere alla propaganda dell’ISIS, ma è un lavoro che va fatto con attenzione, altrimenti rischia di produrre effetti controproducenti, come nuove ondate di attivazioni di account.
– È un’operazione controversa per lo stesso Anonymous
Come ha spiegato in una precedente intervista l’esperta di hacker e attivismo Gabriella Coleman, non tutto Anonymous sostiene Operation Paris (o “Operation ISIS”), come dimostrato da una discussione che si è sviluppata su Pastebin in cui si è parlato dei meriti dell’iniziativa. E ci sono discordanze anche all’interno della stessa operazione, soprattutto su come procedere.
Per un anno circa, spiega sempre Coleman, OPISIS ha raccolto e segnalato gli account sui social media con qualche legame con l’ISIS. Questi profili venivano poi controllati e, se possibile, segnalati al social network su cui erano comparsi in modo da farli bloccare. Ma con l’aumento dell’interesse intorno all’operazione, il gruppo ha esteso le sue ambizioni e ora dice di volere rivelare l’identità di alcuni membri dello Stato Islamico, un’idea che era già circolata durante i fatti di Charlie Hebdo ma che poi non fu concretizzata. Coleman dice che “se davvero rivelassero le identità di quelli coinvolti online con l’ISIS potrebbe esserci un disastro: nel caso di un errore di identificazione ci potrebbero essere conseguenze terribili per la persona oggetto dello sbaglio”.
Un rischio di questo tipo è venuto a galla in una recente operazione di Anonymous che ha utilizzato sistemi per raccogliere e verificare i nomi di alcuni utenti, i cui account erano legati al Ku Klux Klan. Per ora non è chiaro se questa strategia sarà seguita anche nella campagna contro l’ISIS, ma se dovesse potrebbe esporre gli stessi partecipanti ad Anonymus a rischi legati alla loro identificazione da parte del gruppo che stanno provando a fermare.
Un esempio che dimostra efficacemente come un problema di questo tipo abbia diviso Anonymous è probabilmente quello di GhostSec, un’operazione un tempo legata al collettivo, ma che ora si muove ben oltre l’identificazione degli account degli estremisti su Twitter. Il gruppo dice di essersi diviso in seguito al crescente interesse da parte dell’intelligence sulle informazioni che stava raccogliendo dai siti di alcuni estremisti, sia sul classico Web sia sul cosiddetto “dark Web”, cui si può accedere solo con particolari software.
GhostSec ora è diviso in due gruppi: uno ha mantenuto il nome GhostSec e il suo sito originario, mentre l’altro si fa chiamare Ghost Security Group. Le due entità sono in competizione tra loro e si contendono i successi ottenuti prima della separazione, nonché i membri più capaci e di valore per proseguire le operazioni. Attualmente, Ghost Security Group sembra essere posizionato meglio, ma ci sono comunque dilemmi etici (per esempio: cosa fare quando sei un gruppo anonimo che ottiene informazioni rilevanti per le autorità?) che vengono affrontati diversamente dai due gruppi. Mentre GhostSec mantiene un approccio più ortodosso, nello stile di Anonymous, Ghost Security Group collabora per lo meno indirettamente con le autorità sulle informazioni che ottiene. Per farlo si è quindi distanziato completamente da Anonymous, anche se i suoi membri mantengono comunque l’anonimato online.
– Anonymous non è l’unico gruppo interessato a fermare l’ISIS online
Anche se la maggior parte delle attenzioni è concentrata su Anonymous, ci sono altri che sono impegnati ad affrontare lo Stato Islamico su Internet. Non è nostra intenzione fare un elenco completo, ma eccovi un paio di esempi.
Ci sono alcuni attivisti indipendenti online, come Paul Dietrich, che parlano direttamente su Internet con individui che pensano potrebbero unirsi allo Stato Islamico frequentando gli account social del gruppo estremista, una tattica spiegata in questo articolo. Anche se molti ritengono che questa strategia uno-a-uno possa evitare che alcuni individui diventino estremisti, non si tratta di una soluzione che permette di agire sui grandi numeri come le operazioni per fare sospendere in massa gli account sui social media.
Alcuni governi hanno provato ad avviare campagne online contro lo Stato Islamico, con effetti altalenanti. Di recente, inoltre, alcuni gruppi musulmani hanno iniziato a pubblicare video su YouTube per una campagna di contropropaganda sull’ISIS.
Se tutto questo vi sembra un po’ incasinato, è proprio il punto. Alcune cose non sono così semplici come appaiono nei film, e Anonymous è sicuramente una di queste.
© 2015 The Washington Post