Il ritorno di “Rosemary’s baby”
Un estratto del romanzo di Ira Levin da cui Roman Polansky trasse il famoso film con Mia Farrow e John Cassavetes, appena ripubblicato da Sur Edizioni
Rosemary’s baby – il romanzo di Ira Levin da cui nel 1968 Roman Polanski trasse il film con John Cassavetes e Mia Farrow – torna in libreria, ripubblicato da Edizioni Sur. Il romanzo fu pubblicato in Italia per la prima volta da Garzanti nel 1968, nella traduzione di Attilio Veraldi, la stessa dell’edizione di Sur. Rosemary’s baby racconta la storia di Guy e Rosemary Woodhouse, una giovane coppia che prende in affitto un appartamento nel Bramford, un palazzo d’epoca dell’Upper West Side di Manhattan. Guy è un attore in cerca di lavoro, Rosemary desidera avere un bambino. Quando lui ottiene una parte importante e lei rimane incinta, nel condominio iniziano a verificarsi fatti inquietanti: lei ha continui incubi, lui diventa ambizioso e un’anziana coppia di vicini mostra troppa attenzione per la ragazza e il bambino.
Ira Levin, nato a New York nel 1929 e morto nel 2007, è autore di molti romanzi e opere teatrali da cui sono stati tratti film famosi, tra cui Trappola mortale di Sidney Lumet con Christopher Reeve e Michale Caine, 1982; Un bacio prima di morire del 1991 con Matt Dillon e Sean Young; I ragazzi venuti dal Brasile del 1979 con Laurence Olivier e Gregory Peck; Sliver del 1993 con Sharon Stone; La moglie perfetta del 2004 con Nicole Kidman.
In un’intervista al New York Times del 2002, Ira Levin ha dichiarato di essersi pentito di avere dato origine, proprio con Rosemary’s baby, al genere satanista: «Un’intera generazione è stata impressionata e oggi crede di più a Satana. Io non credo a Satana e penso che il fondamentalismo attuale non sarebbe così forte se non ci fossero stati così tanti libri di questo genere… Naturalmente, non darò indietro nessuno degli assegni che ho preso per i diritti d’autore». Truman Capote definì Rosemary’s baby: «Un’oscura e brillante storia di stregoneria moderna».
Nel brano, un amico della coppia, Hutch, racconta a Rosemary e Guy i fatti terribili accaduti nel palazzo dove hanno intenzione di affittare l’appartamento.
* * *
Il giovedì dopo aver visitato l’appartamento, Rosemary e Guy andarono a cena con Hutch da Klube, un ristorante tedesco sulla Ventitreesima Strada. Il martedì pomeriggio avevano dato il nome di lui alla signora Cortez come una delle tre referenze da lei richieste, e Hutch aveva già ricevuto la lettera e risposto alle sue richieste di informazioni.
«Sono stato tentato di dire che eravate dei drogati, oppure degli sporcaccioni», disse, «o qualcosa di altrettanto repellente per un’amministratrice».
Gli chiesero perché.
«Non so se lo sapete», spiegò, imburrandosi una fettina di pane, «ma agli inizi del secolo il Bramford aveva una reputazione tutt’altro che buona». Li guardò, scoprì che non lo sapevano e proseguì (aveva un gran faccione lucido, occhi azzurri che lanciavano sguardi entusiasti e pochi fili di capelli neri inumiditi e riportati di traverso sul cranio). «Insieme a gente come Isadora Duncan e Theodore Dreiser», disse, «il Bramford ha ospitato un numero considerevole di personaggi meno affascinanti. È lì che le sorelle Trench eseguivano i loro piccoli esperimenti dietetici e Keith Kennedy dava i suoi ricevimenti. Adrian Marcato ha abitato lì, e anche Pearl Ames».
«Chi sono le sorelle Trench?», chiese Guy; e Rosemary, a sua volta: «Chi è Adrian Marcato?»
«Le sorelle Trench», rispose Hutch, «erano due rispettabili signore vittoriane, cannibale a tempo perso. Si cucinarono e mangiarono parecchi bambinetti, compresa una nipotina».
«Divertente», disse Guy.
Hutch si rivolse a Rosemary: «Adrian Marcato praticava la stregoneria», spiegò. «Nell’ultimo decennio del secolo suscitò scalpore annunciando di essere riuscito a evocare Satana in carne e ossa. A riprova, mostrò una manciata di capelli e qualche scheggia di artigli, e a quanto pare la gente gli credette. Abbastanza gente, perlomeno, da formare una folla che gli s’avventò contro nell’androne del Bramford e per poco non l’ammazzò».
«Stai scherzando», disse Rosemary.
«Dico sul serio, altroché. Pochi anni dopo scoppiò l’affare Keith Kennedy e verso il 1920 il palazzo era già mezzo vuoto».
«Sapevo di Keith Kennedy e di Pearl Ames», disse Guy, «ignoravo però che Adrian Marcato avesse abitato là».
«E quelle sorelle!», aggiunse Rosemary, rabbrividendo.
«Solo con la seconda guerra mondiale e con la scarsità degli alloggi», proseguì Hutch, «il palazzo è tornato a riempirsi, e ormai ha anche un po’ acquistato il prestigio del vecchio monumento illustre. Ma negli anni Venti lo chiamavano il Nero Bramford, e chi aveva giudizio se ne stava alla larga. Il melone è per la signora, vero, Rosemary?»
Il cameriere servì l’antipasto. Rosemary lanciò uno sguardo apprensivo a Guy, che aggrottò la fronte e scrollò brevemente il capo: Sciocchezze, non lasciarti spaventare da quello che dice.
Il cameriere andò via. «Nel corso degli anni», riprese Hutch, «al Bramford sono capitate non poche cose orrende e disgustose. E non tutte appartengono a un passato lontano. Nel 1959, nello scantinato fu trovato il cadaverino di un neonato avvolto in un giornale».
«Ma…», obiettò Rosemary, «ogni tanto di cose orrende forse ne capitano un po’ dappertutto, in ogni palazzo».
«Ogni tanto», replicò Hutch. «Il punto, però, è che al Bramford di cose orrende ne capitano molto più spesso che non “ogni tanto”. Anche incidenti meno spettacolari, per così dire. Ci sono stati molti più suicidi lì, per esempio, che in altri palazzi di uguale età e grandezza».
«Qual è dunque la risposta, Hutch?», intervenne Guy, atteggiato a serio e preoccupato. «Deve pur esserci una spiegazione».
Hutch lo guardò per un po’. «Non lo so», rispose. «Forse dipende semplicemente dal fatto che la notorietà di una coppia di sorelle come le Trench attira un Adrian Marcato, la cui notorietà attira un Keith Kennedy e così via, finché il palazzo diventa una… una specie di luogo di raccolta per gente incline più di altra a un certo tipo di comportamento. O forse esistono cose che noi ancora non conosciamo: non so, campi magnetici o elettroni o cose del genere… dei processi per cui un posto può diventare letteralmente malefico. So questo di certo, che il Bramford non è affatto unico nel suo genere. A Londra, in Praed Street, c’era una casa in cui nel giro di sessant’anni avvennero ben cinque distinti e brutali assassinii. Nessuno dei cinque aveva la minima relazione con gli altri; gli assassini non avevano nulla in comune tra di loro e neppure le vittime, né ogni volta i delitti erano stati compiuti per via dello stesso diamante indiano o dello stesso falcone maltese. E tuttavia, nel giro di sessant’anni erano avvenuti cinque brutali assassinii: in una piccola casa con un negozio sulla strada e un appartamento di sopra. Venne demolita nel 1954… per nessuno scopo particolare, visto che, a quanto mi risulta, lo spazio fu lasciato vuoto».
Rosemary scavò col cucchiaio nel melone. «Forse esistono anche le case buone», disse. «Quelle in cui la gente continua a innamorarsi, sposarsi e fare figli».
«E a diventare attori famosi», disse Guy.
«Forse», fece Hutch. «Ma non se ne sente mai parlare. Solo ciò che è torbido fa notizia». Sorrise a Rosemary e a Guy. «Vorrei che vi cercaste una casa come si deve invece del Bramford».
Il cucchiaio di Rosemary, con dentro del melone, rimase fermo a mezz’aria. «Stai cercando sul serio di dissuaderci?», chiese.
«Mia cara», rispose Hutch, «questa sera avevo un appuntamento allettantissimo con una donna deliziosa: l’ho disdetto unicamente per vedervi e dirvi come la penso. Certo che sto cercando di dissuadervi».
«Diamine, Hutch…», esordì Guy.
«Non dico», proseguì Hutch, «che appena messo piede nel Bramford vi crollerà in testa un pianoforte o sarete divorati da qualche zitella o tramutati in statue di pietra, di co solo che esistono dei fatti e che vanno presi in considerazione insieme all’affitto ragionevole e al camino che funziona per davvero. Il palazzo ha un’alta percentuale di precedenti sgradevoli, perché esporsi di proposito a un pericolo? Andate al Dakota o all’Osborne, se proprio non potete fare a meno del lustro del diciannovesimo secolo».
«Il Dakota è un condominio», replicò Rosemary, «e l’Osborne stanno per abbatterlo».
«Non stai esagerando un pochino, Hutch?», disse Guy. «Ci sono stati altri “precedenti sgradevoli” in questi ultimi anni, a parte quella creaturina nello scantinato?»
«L’inverno scorso è rimasto ucciso un addetto all’ascensore», rispose Hutch. «Un caso di cui è preferibile non parlare a tavola. Ho passato questo pomeriggio alla biblioteca, con la raccolta del Times e tre ore di microfilm: volete sapere altro?»
Rosemary guardò Guy, che mise giù la forchetta e si pulì la bocca. «È assurdo», disse poi. «D’accordo, sono successe un mucchio di cose sgradevoli, questo però non significa che ne debbano succedere altre. Non vedo perché il Bramford sia più “pericoloso” di qualunque altro stabile della città. Puoi lanciare una moneta in aria e ottenere testa cinque volte consecutive; questo non significa che per altre cinque volte otterrai ancora testa, né significa che la moneta è diversa dalle altre. Si tratta di una coincidenza e basta».
«Se effettivamente ci fosse qualcosa che non va», disse Rosemary, «l’avrebbero abbattuto, no? Come quella casa di Londra».
«La casa di Londra», obiettò Hutch, «era di proprietà della famiglia dell’ultimo disgraziato che ci rimise la pelle. Il Bramford è di proprietà della chiesa accanto».
«Lo vedi?», disse Guy, accendendosi una sigaretta. «Abbiamo la protezione divina».
«Finora non ha funzionato», disse Hutch.
© Ira Levin, 1967
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