Cosa è successo all’università del Missouri
Le proteste degli studenti hanno portato alle dimissioni del preside accusato, tra le altre cose, di non aver preso provvedimenti sufficienti contro alcuni casi di razzismo
Lunedì 9 novembre le proteste degli studenti e del personale dell’università del Missouri, negli Stati Uniti, hanno portato alle dimissioni del preside Timothy M. Wolfe e del suo vice: erano accusati, tra le altre cose, di negligenza per non aver preso dei provvedimenti sufficienti contro alcuni casi di razzismo che si erano verificati nel campus.
Il New York Times racconta che le proteste all’università erano cominciate lo scorso agosto da un gruppo di studenti neri, ispirate dalle manifestazioni di Ferguson: la città del Missouri dove nel 2014 Darren Wilson, un agente di polizia, bianco, uccise Michael Brown, un ragazzo nero disarmato che aveva appena compiuto una piccola rapina. L’episodio diede origine a una lunga serie di contestazioni, discussioni e riflessioni sul tema più ampio della discriminazione dei neri, ancora persistente nella società americana, e più in particolare dell’atteggiamento violento e discriminatorio della polizia. Gli studenti dell’università del Missouri «si vedono come parte di un continuum di attivismo che collega Ferguson, le altre morti causate dalla polizia, le proteste nei campus in tutto il paese e il movimento Black Lives Matter (movimento per i diritti civili degli afro americani, ndr)». Le proteste sono state guidate da “Concerned Student 1950“, un movimento composto soprattutto da studenti neri dell’università.
Secondo gli studenti, di fronte a diversi episodi e denunce di razzismo (un rappresentante degli studenti, nero, era stato insultato durante un incontro pubblico, ad esempio) il preside non aveva preso sufficienti e rapidi provvedimenti. Nelle ultime settimane le proteste avevano preso forza. Uno studente che aveva partecipato alle manifestazioni di Ferguson, Jonathan Butler, aveva cominciato uno sciopero della fame che aveva ricevuto molta attenzione dai media locali. Un gruppo di studenti ebrei si era unito alle contestazioni, dopo che una svastica era stata trovata sul muro di un dormitorio ma non erano stati presi particolari provvedimenti. Infine, sabato scorso, i giocatori della squadra di football dell’università avevano annunciato un boicottaggio del campionato fino a quando il preside dell’università non si fosse dimesso: il loro allenatore li aveva sostenuti. Questa minaccia, in particolare, aveva attirato l’attenzione nazionale dei media e dei giornali – e anche quella dei principali donatori e finanziatori dell’università.
Wolfe ha spiegato di aver preso la sua decisione non tanto per il rifiuto dei giocatori della squadra di football (cosa che sarebbe costata comunque all’università almeno un milione di dollari), ma come atto di generale presa di responsabilità per la rabbia e la frustrazione degli ultimi mesi al campus. Wolfe, che ha 57 anni, era stato assunto nel 2012 con lo specifico compito di ridurre i costi e gli sprechi nei vari settori dell’università.
Il governatore dello stato Jay Nixon, un Democratico, ha detto di apprezzare la decisione di Wolfe e ha spiegato che «le sue dimissioni sono un passo necessario verso la guarigione e la riconciliazione nel campus». Il Consiglio dei curatori, l’organo di governo dell’università che è composto da nove membri, ha subito annunciato l’introduzione di una serie di misure per affrontare le tensioni razziali, dare sostegno a chi subisce discriminazioni e introdurre una formazione obbligatoria su questo specifico tema per i nuovi assunti e i nuovi studenti.
Dopo l’annuncio di Wolfe, migliaia di studenti e di membri del personale dell’università si sono riuniti al campus: alcuni hanno applaudito, altri hanno pianto e ballato. Butler ha detto che avrebbe ricominciato a mangiare per la prima volta dopo una settimana. W. Dudley McCarter, un responsabile del gruppo di ex allievi dell’università, ha invece detto di essere deluso dalle dimissioni poiché Wolfe era semplicemente diventato «un capro espiatorio per cose che non aveva fatto».