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  • Lunedì 9 novembre 2015

La rivolta dei migranti in Australia

È iniziata a Christmas Island, dopo che un richiedente asilo aveva tentato di scappare ed è stato poi trovato morto: è ancora in corso

Il centro per migranti a Christmas Island (Scott Fisher/Getty Images)
Il centro per migranti a Christmas Island (Scott Fisher/Getty Images)

Nel centro per migranti sull’isola australiana di Natale (Christmas Island), a circa 1.600 chilometri dalla costa del paese e a 350 chilometri a sud dell’isola indonesiana di Java, è in corso una protesta molto violenta. I richiedenti asilo hanno distrutto le recinzioni e appiccato incendi alle strutture: le autorità australiane hanno parlato di «problemi significativi» e hanno confermato che «le guardie sono uscite dagli edifici, per motivi di sicurezza». La rivolta è ancora in corso: è cominciata dopo che un migrante aveva tentato di scappare ed è stato trovato morto, domenica 8 novembre, tra le scogliere dell’isola. Nel centro si trovano 203 migranti, tutti uomini, e circa 40 sono cittadini neozelandesi in attesa di espulsione.

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Secondo il comunicato del governo australiano, «dopo la fuga dal centro e la morte di un detenuto è cominciata una protesta pacifica di un gruppo di migranti iraniani, ma altri migranti hanno approfittato della situazione per scatenare una rivolta». Alcuni media locali scrivono che l’uomo trovato morto era un curdo iraniano e si chiamava Fazel Chegeni. Intervistato dal quotidiano australiano Sydney Morning Herald, il portavoce di un gruppo che difende i diritti dei rifugiati ha spiegato che «come molti altri, Fazel soffriva per le conseguenze di una lunga detenzione arbitraria». Secondo la BBC Fazel Chegeni avrebbe raccontato ad alcuni suoi compagni di «non sopportare più la detenzione» e di avere «bisogno di andare fuori di lì». Le cause della sua morte non sono ancora state rese pubbliche.

Da più di un anno l’Australia ha introdotto politiche particolarmente severe e costose (criticate da diverse organizzazioni per i diritti umani) contro l’immigrazione, di cui si è discusso in tutto il mondo. Il governo ha schierato un grosso numero di militari per sorvegliare le sue acque, in modo da poter intercettare le imbarcazioni che si avvicinano alle sue coste. Chi arriva può andare incontro a due diverse situazioni. La sua imbarcazione può essere trainata nuovamente verso i porti di partenza, oppure gli occupanti possono essere inviati nei centri di identificazione stabiliti in Papua Nuova Guinea o nelle isole vicine, dove le loro eventuali domande di asilo vengono esaminate e da dove, molto spesso, vengono riportati nei paesi di partenza.

In alcuni casi i migranti vengono sistemati su imbarcazioni di salvataggio, quindi trainati fino alle acque costiere dell’Indonesia e lì abbandonati. Alcuni di questi respingimenti sono avvenuti senza il consenso dell’Indonesia: le unità militari australiane hanno cioè violato le acque territoriali indonesiane e quindi hanno abbandonato le imbarcazioni in mezzo al mare, lasciando che raggiungessero da sole le coste del paese. Qualche mese fa il governo dell’Indonesia ha anche accusato l’Australia di aver pagato alcuni scafisti che stavano portando illegalmente dei migranti verso le coste australiane, perché girassero le imbarcazioni e si dirigessero altrove.