L’assassinio di Rabin, 20 anni fa
La sera del 4 novembre del 1995 il primo ministro israeliano che aveva firmato gli accordi di Oslo fu ucciso da un fanatico religioso ebreo
La sera del 4 novembre del 1995 a Tel Aviv, alle 21.30, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin fu ucciso da un fanatico religioso ebreo alla fine di una manifestazione in sostegno agli accordi di Oslo. La foto simbolo di quegli accordi – Rabin e Arafat che il 13 settembre del 1993 si stringono la mano nel cortile della Casa Bianca – è forse una delle immagini più famose della storia recente: era la prima volta che i due paesi si riconoscevano come legittimi interlocutori ed era la prima volta che i due leader si stringevano la mano in pubblico.
Quegli accordi valsero il premio Nobel per la pace a Yitzhak Rabin, Shimon Peres e Yasser Arafat, e avrebbero dovuto aprire la via per una risoluzione definitiva dell’eterna questione fra Israele e Palestina. La morte violenta di Rabin secondo alcuni interruppe gli accordi; secondo altri lo trasformò in un martire al servizio della pace; secondo altri ancora la sua figura fu in realtà molto più contraddittoria.
Bill Clinton, Yasser Arafat e Yitzhak Rabin, Washington 13 settembre 1993 (J. DAVID AKE/AFP/Getty Images)
Nato a Gerusalemme il primo marzo del 1922, Rabin divenne capo di Stato Maggiore e negli anni Sessanta guidò le forze armate israeliane nella Guerra dei sei giorni (giugno 1967). Poco dopo, ritiratosi dall’esercito, fu ambasciatore di Israele negli Stati Uniti e dimostrò una grande ammirazione per Henry Kissinger. Deputato laburista dal 1974, lo stesso anno venne nominato ministro del Lavoro: a seguito delle dimissioni di Golda Meir, prima donna a guidare il governo del suo paese, Rabin sconfisse Shimon Peres alle elezioni per la leadership del partito e nel giugno 1974 venne eletto primo ministro, incarico che mantenne fino al 1977. Nell’aprile 1977 un’inchiesta giornalistica legata a un conto corrente della moglie Leah in una banca americana lo costrinse alle dimissioni. Rabin lasciò la guida del partito a Shimon Peres (che venne sconfitto dalla destra alle elezioni) e rimase in parlamento per i successivi otto anni fino a quando, nel 1984, fu nominato ministro della Difesa in un governo di unità nazionale.
Come ministro della Difesa diresse la repressione dell’intifada nei territori occupati (divenne celebre un ordine da lui impartito di «spaccare le ossa ai manifestanti» e quello di chiudere le scuole per oltre un anno). Tornato alla guida del governo nel luglio 1992, chiamò al ministero degli Esteri Shimon Peres e contribuì allo sviluppo dei negoziati di pace avviati nell’ottobre del 1991 tra Israele, Siria, Libano, Giordania e Palestina. Alle 11.43 del 13 settembre 1993 Ytzhak Rabin e Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), firmarono quelli che passarono alla storia come gli accordi di Oslo.
Con gli accordi Oslo per la prima volta gli israeliani riconobbero nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina l’interlocutore ufficiale che parlava per il popolo palestinese, e gli riconobbero il diritto di governare su alcuni dei territori occupati. L’OLP da parte sua riconobbe il diritto di Israele a esistere e rinunciò formalmente all’uso della violenza per ottenere i suoi scopi, cioè la creazione di uno stato palestinese. Questi riconoscimenti reciproci erano già di per sé una novità assoluta nei rapporti tra Israele e i palestinesi, ma l’accordo conteneva anche un piano specifico per mettere in atto una soluzione definitiva alla “questione palestinese”. Israele prometteva di ritirarsi da Gaza e dall’area di Gerico, nella Cisgiordania. Prometteva anche che nei cinque anni successivi si sarebbe ritirata da altri territori occupati militarmente. Secondo gli accordi in questi territori si sarebbero insediati dei governi palestinesi eletti localmente, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).
Come scrissero molti commentatori già allora, gli accordi prevedevano da parte dei palestinesi una serie di difficili concessioni immediate (il riconoscimento di Israele e la rinuncia alla violenza), mentre gli israeliani avrebbero dovuto fare le concessioni difficili più avanti (completare il ritiro delle truppe dal resto dei territori occupati). Quasi tutte le questioni più complicate, come lo status di Gerusalemme e il destino degli insediamenti dei coloni ebraici in Cisgiordania, non furono discusse durante i negoziati e vennero rimandate alle riunioni successive. Nel 1995 Rabin e Arafat firmarono un’altra serie di accordi, Oslo II, che garantivano all’OLP il governo di numerose città a Gaza e nella Cisgiordania, dopo che nel luglio del 1994 Israele aveva cominciato a ritirare l’esercito da alcuni dei territorio occupati. All’epoca però lo scetticismo nei confronti degli accordi stava già crescendo da entrambe le parti.
In Israele subito dopo gli accordi ci fu un voto di fiducia al governo che terminò con uno scarto di una manciata di voti. Israele rallentò la sua politica degli insediamenti in Cisgiordania – quelle comunità di israeliani, spesso molto religiose, che si trovano nei territori occupati da cui l’esercito avrebbe dovuto gradualmente ritirarsi – ma non la fermò. La popolazione dei coloni in Cisgiordania crebbe di circa 10 mila persone l’anno. Nel febbraio del 1994 il medico israeliano della colonia di Kiriat Arba, vicino a Hebron, entrò nella tomba del patriarca a Hebron e uccise 19 palestinesi: la repressione dell’esercito contro i palestinesi che protestarono per il massacro fu durissima e Rabin negò l’espulsione dalla città di Hebron di cinquecento coloni israeliani. Rabin fu sempre lontano dal riconoscimento di uno Stato palestinese indipendente e non appoggiò mai apertamente la formula dei due Stati per due popoli.
Il 4 novembre del 1995 Rabin tenne un comizio in piazza a Tel Aviv in cui parlò in modo generico del progetto di pace, ma ancora una volta lasciò in sospeso quale prezzo fosse disposto a pagare Israele per raggiungerlo. Queste sue aperture avevano già da tempo attirato molte critiche in particolare da parte del partito di destra, il Likud, che era molto contrario: gli scettici aumentarono con gli attacchi e le violenze che fecero seguito agli accordi. La sera del 4 novembre Rabin fu ucciso da Ygal Amir, un colono ebreo estremista nascosto tra la folla che gli sparò due colpi di pistola. Ai suoi funerali a Gerusalemme parteciparono circa un milione di israeliani e molti leader politici da tutto il mondo. Il fratello di Amir e un amico, Dror Adani, furono identificati come complici dell’attentatore: Amir venne condannato all’ergastolo.
Nel 1996 il Likud, ostile agli accordi, vinse le elezioni. Il nuovo primo ministro – che è anche l’attuale primo ministro, Benjamin Netanyahu – aveva più volte pubblicamente definito gli accordi di Oslo un errore. Negli ultimi vent’anni sono falliti quasi tutti gli altri incontri che avrebbero dovuto risolvere le questioni lasciate in sospeso da Oslo.