Lanvin ha licenziato Alber Elbaz
È lo stilista che aveva riportato l'azienda al successo e ai profitti, ed è l'ennesimo recente cambio dirigenziale nell'industria della moda
di Enrico Matzeu – @enricomatzeu
La casa di moda francese Lanvin ha licenziato lo stilista israeliano Alber Elbaz, che ci lavorava come direttore creativo da quattordici anni, a causa di dissidi con la proprietaria della società, l’imprenditrice taiwanese Shaw-Lan Wang. Il primo a dare la notizia è stato il sito Women’s Wear Daily; nel pomeriggio del 28 ottobre Elbaz ha confermato che se ne andava «per decisione degli azionisti di maggioranza». Il licenziamento di Elbaz ha colpito molto perché è il terzo stilista nel giro di poco tempo che lascia un importante marchio del lusso, come Alexander Wang con Balenciaga e Raf Simons con Christian Dior.
Alber Elbaz, che ha anche una quota del 10 per cento delle azioni di Lanvin, riceverà una consistente liquidazione (nel 2012 Nicholas Ghesquiére, che possedeva la stessa quota da Balenciaga, ricevette circa 42,3 milioni di dollari) e secondo alcune voci potrebbe essere chiamato dal gruppo LVMH per sostituire Raf Simons da Christian Dior. Elbaz era già stato contattato da Dior per quel ruolo nel 2011, quando venne licenziato John Galliano, ma rifiutò non volendo lasciare Lanvin. Tra i suoi possibili successori ci sono Olivier Rousteing, Simone Rocha, Huishan Zhang e Joseph Altuzarra. Sembra anche che Lanvin stia pensando di dare il ruolo di direttore creativo della linea donna a Lucas Ossendrijver, che dirige già la linea uomo dal 2005.
Elbaz era stato chiamato da Lanvin proprio da Shaw-Lan Wang, quando nel 2001 comprò la storica casa di moda francese dal gruppo L’Oreal. In pochi anni Elbaz è riuscito a riportarla al prestigio passato: Lanvin fu fondata da Jeanne Lanvin nel 1885 ed è la più antica tra le case di moda francesi. Oggi Lanvin ha riacquistato una certa fama e anche dal punto di vista economico ha ottenuto buoni risultati: nel 2014 ha raggiunto un fatturato di circa 250 milioni di euro (anche se quest’anno potrebbe registrare perdite consistenti, per la prima volta da almeno dieci anni).
È probabile dunque che alla base della scelta di Wang ci sia la volontà di rinnovare il marchio e dargli una nuova spinta, anche se in realtà fin qui si era sempre dimostrata un po’ riluttante nel fare investimenti per migliorare il profilo del marchio. Questo è uno dei motivi dello scontro con Elbaz, che avrebbe invece voluto rafforzare il settore degli accessori, in particolar modo delle borse, che per le aziende del lusso sono solitamente i prodotti più venduti. Secondo le voci che circolano tra gli addetti ai lavori, le tensioni tra lo stilista e la proprietaria di Lanvin sono iniziate nei mesi scorsi quando Elbaz avrebbe sollecitato la Wang a vendere le proprie quote a un investitore che potesse sviluppare meglio il potenziale dell’azienda. Probabilmente le pressioni sono state così forti da far decidere a Wang di licenziare Elbaz, che da solo non avrebbe mai lasciato il suo incarico. In un’intervista al Financial Times del 2011, infatti, in merito a un suo possibile futuro lontano da Lanvin Elbaz aveva risposto: «Come potrei andarmene? Le persone che lavorano lì mi permettono di fare ciò che faccio. Loro sono la mia orchestra. Non posso dirgli: “Oh ciao, la mamma ora se ne va”».
Elbaz aveva infatti costruito su di sé l’immagine di Lanvin e il marchio è sempre stato associato al suo nome, che l’ha reso riconoscibile introducendo per esempio l’abito da cocktail anche per il giorno e l’uso di fiocchi e gioielli ovunque. In un articolo sull’Independent, Alexander Fury ha scritto che tra le particolarità dello stile di Elbaz da Lanvin c’erano «gli orli lasciati a vivo, anche negli abiti da sera, i gioielli e le ballerine, che sono state portate al successo commerciale». Elbaz è riuscito anche a far indossare i suoi abiti a diverse star internazionali e questo conta molto per l’immagine delle aziende del lusso. Tra le celebrità che si possono considerare testimonial di Lanvin ci sono anche Meryl Streep e Natalie Portman.
Alber Elbaz è israeliano ma è nato in Marocco nel 1961. Iniziò a lavorare nel campo della moda dallo stilista americano Geoffrey Been, a New York, alla fine degli anni Ottanta, dove rimase per sette anni. Si trasferì a Parigi nel 1997 per assumere la direzione artistica del marchio Guy Laroche. Divenne poi direttore artistico di Yves Saint Laurent per la linea prêt-à-porter di Rive Gauche, ma dopo tre anni fu licenziato dal gruppo Gucci (che controllava Yves Saint Laurent); andò per un anno a Krizia e poi da Lanvin, nel 2001. Elbaz è famoso anche per il suo stile personale: indossa sempre una giacca, un grande papillon e occhiali da vista dalla montatura grossa.
Nei giorni scorsi WWD ha scritto che Alber Elbaz, in occasione della Fashion Group International’s Night of Stars (una serata in cui vengono assegnati alcuni premi a personalità della moda) ha pronunciato un discorso molto critico verso i ritmi troppo veloci dell’industria, che ne danneggiano la creatività. Tra le altre cose, Elbaz ha detto: «Noi designer abbiamo iniziato come “couturier” con sogni, intuizioni e sentimenti. Abbiamo iniziato col domandarci “Cosa vogliono le donne? Di cosa hanno bisogno? Cosa posso fare per rendere migliore e più facile la vita delle donne? Come posso rendere una donna più bella?”. Questo è quello che facevamo. Poi siamo diventati direttori creativi, quindi dovevamo creare ma anche dirigere. E ora dobbiamo diventare creatori di immagini, assicurarci che un abito venga bene in foto. Lo schermo deve urlare, questa è la regola principale: la vera novità è il chiasso. Il chiasso è ciò che ora è considerato forte, e non solo nella moda. Io preferisco bisbigliare. Credo che il bisbiglio vada più in profondità e duri più a lungo».
Nel frattempo i giornali si stanno chiedendo il perché di un così alto numero di licenziamenti di direttori creativi. Sul New York Times Vanessa Friedman l’ha definita una tendenza «insidiosa e potenzialmente distruttiva». Friedman dice che tra le grandi case di moda si tende a “noleggiare” gli stilisti e a scaricarli quando le cose non vanno bene, trasformando così quello che dovrebbe essere considerato «un matrimonio» in un «mero accordo contrattuale» che nuoce sia alle aziende che ai creativi.