E questa cosa degli “insetti sulle nostre tavole”?
Calma, è meno grossa di quanto sembra: c'entra l'aggiornamento di una normativa sui cibi "nuovi", che comunque deve superare ancora un passaggio per entrare in vigore
Sui giornali italiani di giovedì 29 ottobre ha ottenuto molto spazio e visibilità la notizia di una presunta “apertura” dell’Unione Europea su cibi esotici come insetti, alghe e micro-organismi vari. La notizia ha guadagnato la foto principale della prima pagina – fra gli altri – della Stampa e dell’Unità, che hanno titolato rispettivamente “Alghe e insetti a pranzo, via libera dall’Ue” e “Indovina cosa viene a cena. Ue: insetti e alghe sono cibo”. In realtà la questione è un po’ più complessa e riguarda l’aggiornamento di una vecchia normativa del 1997 sul cosiddetto “novel food”, cioè di quegli alimenti che secondo la stessa definizione dell’Unione Europea «prima del 1997 non sono stati consumati significativamente all’interno dell’Unione».
L’aggiornamento della normativa, che prevede principalmente una semplificazione delle procedure di approvazione di cibi esotici da parte dell’Unione Europea, è stato effettivamente approvato mercoledì 28 dal Parlamento Europeo con 359 voti a favore e 202 contro: ma la normativa dev’essere ancora approvata dal Consiglio dell’Unione Europea, l’organo che è composto da un rappresentante per ciascuno stato – diverso a seconda della questione di cui si occupa – e che assieme al Parlamento Europeo esercita la funzione legislativa dell’Unione. E per vederne eventualmente i primi effetti potrebbe passare parecchio tempo.
Il contesto, i problemi
Dal 15 maggio 1997 è in vigore una normativa europea che regolamenta le procedure di approvazione di cibi che vengono immessi per la prima volta nel mercato europeo (il cosiddetto “novel food”). Rientrano in questa categoria i prodotti geneticamente modificati, quelli ottenuti con «microorganismi, funghi o alghe», gli alimenti che non sono stati ottenuti tramite «pratiche tradizionali di moltiplicazione o di riproduzione» e – genericamente – quelli che sono stati ricavati con un «processo di produzione non generalmente utilizzato». Quindi cibi “strani” e non previsti dalla dieta dei vari paesi europei, ma anche preparati con tecnologie nuove e non previste nel 1997.
Oggi, il procedimento per richiedere di poter vendere un nuovo alimento nell’Unione Europea funziona così: l’azienda presenta domanda di ammissione del proprio prodotto allo Stato in cui lo vuole commerciare. Lo Stato fa esaminare la domanda a un’authority indipendente. La domanda dell’azienda e la valutazione dell’authority vengono inviate alla Commissione Europea, che invia entrambi i documenti a tutti gli altri Stati dell’Unione, che a loro volta hanno 60 giorni di tempo per sollevare dei dubbi e chiedere nuovi esami. Nel caso questo succeda, è necessario che la Commissione dia la propria autorizzazione all’azienda, e per fare questo chiede un consulto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, un’agenzia dell’Unione Europea che ha sede a Parma e che si occupa di consulenza su questioni alimentari. Nel caso nessuno sollevi obiezioni, il singolo Stato può autorizzare l’azienda a vendere il suo prodotto. Ogni azienda deve ripetere lo stesso procedimento, anche se vende un prodotto identico a uno già approvato. Dal 1997 a oggi sono stati approvati 86 nuovi cibi, di cui 5 solo nel 2015 (fra cui latticini trattati con un particolare tipo di batteri, o l’olio tratto dalla microalga Schizochytrium). Secondo il Sole 24 Ore la Commissione Europea in questi anni ha esaminato 180 richieste.
Un primo problema è di tipo burocratico: la procedura attuale prevede moltissimi passaggi, che pesano soprattutto sui singoli stati e che rischiano di essere ridondanti, dato che riguardano prodotti identici o uguali. E capita spesso che gli stati avanzino dubbi sulle richieste altrui: finora è successo nell’80 per cento delle richieste. Di conseguenza i tempi e costi sono notevoli, per un’azienda. Lo European Parliamentary Research Service, l’agenzia di analisi che fa da supporto al Parlamento Europeo, ha stimato che una richiesta di approvazione dura in media tre anni e che costa all’azienda fra i 20mila e i 45mila euro (anche se a volte si può arrivare a spendere anche un milione di euro). C’è poi un problema di “invecchiamento” della normativa, che ormai ha 18 anni e ha diverse lacune. Per esempio non prevede alcuna regolamentazione per i prodotti alimentari tratti dagli insetti: e infatti al momento ogni paese si comporta come vuole sul tema (nel Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi ad esempio è permessa la vendita di alcuni alimenti ricavati dagli insetti).
La nuova proposta
La normativa approvata dal Parlamento Europeo è stata presentata dalla Commissione Europea nel dicembre del 2013. Prevede in sostanza un aggiornamento delle categorie previste dal 1997 e una semplificazione delle procedure per avanzare la richiesta di vendere un nuovo prodotto.
L’aggiornamento delle categorie dovrebbe portare a un loro ampliamento che ad esempio tenga conto degli insetti – sui quali la Commissione Europea ha chiesto e ottenuto un parere dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (che è stato sostanzialmente positivo) – e dei cosiddetti nanomateriali, cioè degli additivi microscopici. La nuova proposta prevede anche che le richieste per commerciare nuovi prodotti vengano avanzate direttamente alla Commissione, saltando in questo modo il passaggio nei singoli stati, e che una volta che un cibo sia stato approvato riceva una “autorizzazione generica” valida per tutti i prodotti identici messi ipoteticamente in vendita da altre società. La Commissione ha sette mesi per decidere se un cibo possa essere o meno commerciato in Europa. La nuova normativa prevede anche una procedura “agevolata” per prodotti già commerciati in un paese terzo «per almeno 25 anni nella dieta abituale di una grande parte della popolazione del paese». Non è ancora chiaro, comunque, quando questa normativa verrà esaminata dal Consiglio dell’Unione Europea: né di conseguenza se e quando entrerà in vigore.