Cosa vuol dire davvero “capitale morale”?
L'espressione più citata dai giornali di oggi – che ha riaperto la discussione sulle differenze tra Roma e Milano – ha una lunga storia: e fino a qualche tempo fa aveva un altro significato
La maggior parte delle prime pagine dei giornali di oggi riporta nei titoli di apertura le parole del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, che ha definito Milano «capitale morale» del paese, criticando Roma che «non sta dimostrando di avere gli anticorpi morali di cui ha bisogno e che tutti ci auguriamo recuperi». Cantone ha fatto un paragone tra le due città facendo riferimento alla corruzione, ai due grandi eventi che sono in corso o che cominceranno a breve (Expo a Milano e il Giubileo a Roma) e alla situazione politica in generale: ha usato un’espressione piuttosto nostalgica – “capitale morale” – che ha origini precise ma che non aveva all’epoca alcun riferimento “etico”, e ha riportato la discussione (almeno quella giornalistica) su una rivalità costante, a volte implicita a volte esplicita, ma anche piuttosto surreale.
“Capitale morale”
Milano fu la capitale della Repubblica Cisalpina e dell’Italia napoleonica, ma mai capitale dell’Italia intesa come Regno dal 1861 e poi come Repubblica. In epoca napoleonica, nel ballottaggio tra Venezia e Milano, i francesi scelsero Milano spostando da quelle parti la banca (il Monte Napoleone) e celebri opere d’arte prima conservate in Veneto. La stessa scelta venne fatta dagli Asburgo ma i Savoia, una volta raggiunta l’Unità, stabilirono la capitale a Torino. Milano nel frattempo si stava industrializzando: lo storico Renzo De Felice ne parlò come di «un’instancabile incubatrice del nuovo che nasce nel Paese». Nel 1881 venne organizzata l’Esposizione Nazionale Industriale che celebrò il primato di Milano nello sviluppo del paese.
Risale a quel periodo la definizione di Milano come “capitale morale”: l’espressione viene attribuita a Ruggero Bonghi, giornalista napoletano che in quegli anni dirigeva il quotidiano milanese La Perseveranza. Questo ruolo venne riconosciuto alla città da numerosi intellettuali e scrittori dell’epoca. Solo nel 1881 furono ben due i testi pubblicati e intitolati “I dintorni di Milano” scritti da due dei maggiori autori di quegli anni, Emilio De Marchi e Giovanni Verga (che definì Milano «la città più città d’Italia»).
La “moralità” a cui si faceva riferimento all’epoca – come ha precisato la studiosa Giovanna De Rosa, autrice di un saggio intitolato “Il mito della capitale morale” – non aveva però a che fare con l’etica, ma derivava dal fatto che Milano si stava imponendo come guida effettiva (dal punto di vista economico e culturale) e non ufficiale del paese. Nel corso del tempo questo significato è però cambiato, l’etica ha cominciato a essere al centro della definizione, e il primato di “capitale morale” affidato a Milano, nel racconto giornalistico e simbolico, è venuto meno quando nel 1992 cominciarono le inchieste sulla corruzione note come Tangentopoli. Per capirci: si diceva “capitale morale” come oggi si dice “vincitori morali” (quelli che hanno perso ma avrebbero meritato di vincere) e non nell’accezione di “questione morale” (cioè etica).
Il parallelismo
Il confronto tra Milano e Roma – per come è stato presentato nelle frasi di Cantone, e per come è stato raccontato in gran parte dai giornali – sembra accettare definitivamente la trasformazione del significato dell’espressione, da guida “di fatto” a “città del buon esempio” per il paese. Va comunque tenuto presente che non esiste una definizione esatta di questa espressione, che i suoi i contorni sono sfumati e opinabili e che il tema del degrado – esteriore e istituzionale – di Roma è talmente vasto, vecchio, abusato da essere utilizzato spesso come un luogo comune (per quanto in certi casi fondato).
Al di là di alcuni parallelismi improbabili e di chi ci sguazza – il Corriere ha aperto per esempio un sondaggio che chiede tra l’altro di votare il Cenacolo o il Giudizio Universale, Dario Fo o Gigi Proietti – diversi giornali presentano una serie di dati oggettivi: Roma ha una popolazione di 2.869.169 residenti e Milano ne ha poco meno della metà; il reddito imponibile pro capite a Roma è 24.555 euro e a Milano 29.803; la metropolitana di Roma è lunga 60 chilometri e a Milano – che è dieci volte più piccola – 96,9 chilometri; le rapine ogni 100 mila abitanti a Roma sono 93 e a Milano 136; il superamento della soglia di pericolosità di sostanze inquinanti nell’aria a Milano nel 2014 è avvenuto molto più spesso che a Roma.
Tra questi dati, però, l’unico utile per stabilire se Milano sia ancora o sia tornata ad essere la “capitale morale” del paese è quello sui livelli di corruzione. Secondo i dati raccolti dal Corriere della Sera e pubblicati oggi, a Roma dal 2013 e fino al primo semestre del 2014 il numero degli arrestati e indagati per corruzione è aumentato, mentre a Milano è diminuito.
La politica
Le due città stanno vivendo periodi molto diversi anche dal punto di vista politico. Le ultime vicende di Roma sono piuttosto note: Ignazio Marino si è dimesso (o forse no) dopo due anni di mandato. In due anni ha cambiato la giunta per tre volte dopo aver perso, per dimissioni spontanee o richieste, otto assessori su dodici. Le dimissioni gli sono state richieste dal suo stesso partito, il PD; il PD romano dopo l’inchiesta “Mafia Capitale” è stato commissariato e da circa un mese l’ormai ex sindaco era stato affiancato nell’amministrazione della città dal prefetto Franco Gabrielli.
La situazione di Roma poi è particolarmente complicata da anni, a causa soprattutto dei problemi nei trasporti pubblici e della problematica gestione dei rifiuti: a tutto questo va aggiunto il Giubileo straordinario che inizierà tra soli due mesi e che rende la situazione in generale ancora più precaria. Prima di Marino ci sono state le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto Gianni Alemanno, quelle sulla cosiddetta “parentopoli” nelle società municipalizzate e quella del 2012 sul tesoriere della Margherita, Luigi Lusi. C’è stato l’arresto di Samuele Piccolo, vicepresidente del Consiglio comunale con il PdL, accusato di associazione a delinquere e finanziamento illecito ai partiti; c’è stato l’arresto del consigliere regionale Franco Fiorito, sempre del PdL; c’è stato il crollo della giunta regionale di Renata Polverini per la questione dei rimborsi impropri ai consiglieri regionali.
La Stampa ricorda comunque che anche a Milano ci sono stati di recente diversi arresti e inchieste: se la giunta di Giuliano Pisapia ne è rimasta indenne, in regione ci sono ancora diversi problemi. A maggio del 2014 la procura di Milano aveva disposto l’arresto di sette persone accusate di corruzione nell’ambito di diverse attività legate a Expo 2015. Qualche mese dopo Antonio Acerbo, ex commissario per le opere infrastrutturali di Expo 2015, era stato arrestato con l’ipotesi di corruzione e turbativa d’asta. Lo scorso settembre quattro funzionari legati al settore dell’edilizia pubblica sono stati arrestati con l’accusa di associazione a delinquere e corruzione. Poi c’è la Regione, con le inchieste sulla sanità legate alla presidenza di Roberto Formigoni, quelle sulla vicenda delle raccomandazioni di due collaboratrici di Roberto Maroni e, infine, l’arresto dell’ex vicepresidente Mario Mantovani.