Cosa si dice dello “Steve Jobs” con Michael Fassbender
Senza spoiler: è andato male nel primo weekend negli Stati Uniti, ma alla maggior parte dei critici è piaciuto ("un'iniezione intracardiaca di adrenalina")
La scorsa settimana è uscito negli Stati Uniti Steve Jobs, l’atteso film con la sceneggiatura di Aaron Sorkin e diretto da Danny Boyle sulla vita del famoso imprenditore e cofondatore di Apple (interpretato da Michael Fassbender), e non è andato benissimo: nel primo fine settimana ha incassato 7,3 milioni di dollari, poco più di quanto incassò nel suo primo weekend il criticato Jobs, altro film biografico sul fondatore di Apple con Ashton Kutcher nel ruolo del protagonista. Gli incassi dell’anteprima – due weekend fa e solo in alcune sale – erano andati bene, ma nel primo weekend vero il film ha ottenuto risultati deludenti. In attesa che Steve Jobs esca in Italia il 21 gennaio 2016 può essere interessante leggere – senza spoiler – cosa ne dicono i critici cinematografici e quelli che l’hanno già visto.
Su IMDB, un sito che aggrega recensioni di utenti, il film su Steve Jobs ha oggi un voto da buon film ma non da capolavoro: 7,6. Su Rotten Tomatoes, che aggrega voti di critici e pubblico, il film ha ottenuto valutazioni positive dall’85 per cento dei recensori, su Metacritic, infine, ha un punteggio molto alto nel dato riferito ai critici cinematografici (81, che indica “universal acclaim”) ma uno più basso nel punteggio dato dal pubblico (6,8 su 10). La lettura delle recensioni uscite sui maggiori giornali anglosassoni offre qualche possibile spiegazione a questa apparente disparità nel gradimento dei critici e in quello del pubblico: per esempio quasi tutti sottolineano quanto Steve Jobs sia un film impegnativo per lo spettatore, ricco di dialoghi serratissimi e salti temporali, povero di “spiegoni” e dialoghi messi lì solo per renderlo più facile da seguire e chiarire al pubblico cosa sta succedendo.
È utile qui un po’ di contesto. Steve Jobs è stato scritto da Aaron Sorkin, il venerato sceneggiatore di The Social Network (per cui ha vinto un premio Oscar) e delle serie tv The West Wing e The Newsroom, tra le altre: tutte cose famose per i loro dialoghi brillanti e per i personaggi che parlano e camminano in continuazione. Il regista di Steve Jobs è l’inglese Danny Boyle, quello di Trainspotting, The Millionaire (vincitore di otto premi Oscar) e 127 ore, famoso per i suoi frenetici movimenti di camera. Il film è basato sulla biografia ufficiale di Jobs, scritta da Walter Isaacson, ed è diviso in tre parti che descrivono tre momenti separati e particolarmente importanti della vita del fondatore di Apple: ogni parte poi ha alcuni brevi flashback. Steve Jobs nel film è interpretato da Michael Fassbender, tra gli altri protagonisti ci sono Kate Winslet, Jeff Daniels e Seth Rogen.
A.O. Scott, capo dei critici cinematografici del New York Times, ha scritto che il film è “audace dal punto di vista formale, impegnativo dal punto di vista intellettuale” e che “sfida la pigrizia di certe convenzioni di Hollywood”. Si fa notare particolarmente la contraddizione tra la personalità di Jobs (minimalista, accentratore, ossessionato dal controllo di tutto) e quella di chi ha fatto questo film (massimalista, incasinata, verbosa). “La collisione tra questi stili è affascinante e a volte disorientante. A volte la camera si agita così tanto che distrae lo spettatore, perché è intrappolata in un film che consiste quasi esclusivamente di conversazioni rapidissime dentro spazi chiusi. Ma questo dinamismo aiuta a creare un’atmosfera di suspense nervosa, quasi assurda. Si trattiene il respiro in attesa di quello che succederà, anche se sapete esattamente cosa succederà. La miglior cosa di Steve Jobs è proprio quanto è incasinato. Si allarga, si incurva, sbriciola i suoi ingranaggi, a volte persino si blocca per eccessivo multitasking. Eppure il risultato non è caotico ma coerente».
Il Guardian è più severo: scrive che Fassbender nel ruolo di Steve Jobs è eccezionale e il film è il migliore di Danny Boyle da anni, ma a meno che non siate dei fan di Apple non vi farà impazzire. Anche l’Atlantic dice che il film è “un trionfo” dal punto di vista tecnico (i dialoghi sono “un’iniezione intracardiaca di adrenalina sorkiniana”) e che per Fassbender è “probabilmente la miglior performance della carriera”, ma alla fine della fiera non offre una gran comprensione di Jobs come persona, a parte che sapeva essere davvero stronzo. Anche il Boston Globe è dello stesso avviso.
Anthony Lane, rispettato critico cinematografico del New Yorker, ha scritto che «la premessa dietro Steve Jobs è che il lancio di un nuovo computer possa avere sugli spettatori l’effetto combinato di una sinfonia di Mahler, di un orgasmo simultaneo di coppia e di una visita personale dell’arcangelo Gabriele», visto come ogni episodio del film tenta di montare grandissima attesa e tensione attorno a quello che in fondo è un vecchio iMac, niente di particolarmente coinvolgente dal punto di vista emotivo. Jobs ne viene fuori allo stesso tempo come «un mostro e un genio», e questa è la critica che è stata rivolta di più al film non tanto dai critici cinematografici quanto dagli esperti di tecnologia e da chi aveva conosciuto e lavorato con Jobs.
La vedova di Jobs, Laurene Powell Jobs, ha criticato il film – così come altri documentari usciti di recente – dicendo che in un modo o nell’altro hanno provato a rendere marginale il ruolo di innovatore di suo marito, puntando invece a mettere in evidenza il suo carattere spesso crudele e inumano. A questi argomenti ha risposto indirettamente Scott sul New York Times: “Le biografie cinematografiche non sono documentari. Sono allegorie: recipienti narrativi dentro cui affiancare significati e morali; sono l’equivalente moderno e secolare delle vite dei santi medievali; leggende metropolitane e fari aspirazionali. Steve Jobs è un ricco e potente documento dei tempi, espressione sia dell’ammirazione intorno a certi sofisticati nuovi beni di consumo e sia del disagio che serpeggia nell’attesa del loro arrivo”.