Cosa si dice delle dimissioni di Raf Simons da Dior
Potrebbe essere a causa dei ritmi di lavoro troppo sostenuti e del desiderio di dedicarsi esclusivamente alla sua linea personale, intanto si comincia a parlare dei possibili successori
di Enrico Matzeu – @enricomatzeu
Giovedì 22 ottobre lo stilista Raf Simons si è dimesso dal ruolo di direttore creativo della casa di moda francese Christian Dior dopo solo tre anni e mezzo di lavoro, spiegando di volersi dedicare ad altre cose, tra le quali il marchio che porta il suo nome e per cui disegna una linea maschile dal 1995.
La notizia, che è stata annunciata direttamente dai capi di Christian Dior, è stata per molti una sorpresa: a differenza di altri casi (come quello di Alexander Wang), non circolavano voci su un possibile allontanamento di Simons, anche se The Cut ha scritto che in occasione della sfilata per la primavera/estate 2016 dello scorso ottobre a Parigi, Sydney Toledano, l’amministratore delegato di Dior, e Bernard Arnault, presidente e amministratore della holding LVMH, proprietaria di Dior, fossero già al corrente della decisione di Simons e abbiano cercato di persuaderlo a restare.
In ogni caso, c’è stato molto stupore per le sue dimissioni soprattutto perché per Raf Simons le cose da Dior stavano andando piuttosto bene. Secondo la rivista Dazed, nelle collezioni che ha disegnato, Simons è riuscito ad avere il giusto rispetto per la storia del marchio riuscendo però a inserire alcuni elementi innovativi, adattando gli elementi tipici, come le gonne a ruota e i fiori, al guardaroba contemporaneo e soprattutto alle esigenze delle donne che oggi comprano Dior. Il sito Fashionista spiega che, tra le altre cose, Simons è riuscito anche a riprogettare la Bar jacket, ovvero la famosa giacca a corolla inventata da Christian Dior. Nei tre anni in cui Simons ha disegnato le collezioni femminili, lo stilista ha portato il 60 per cento in più di vendite, e in particolare nell’ultimo anno il fatturato è salito a 1,94 miliardi di euro, con un incremento del 18 per cento.
Simons, che è belga e ha 47 anni, è arrivato a Christian Dior nell’aprile del 2012 (dopo che John Galliano era stato licenziato per alcune frasi antisemite dette in un bar di Parigi) e ha alleggerito molto lo stile del brand rispetto al suo predecessore, che proponeva cose molto scenografiche ed eccentriche. Prima di lavorare a Dior Simons è stato direttore artistico di Jil Sander, dal 2005 per sei anni. Per questi marchi ha sempre disegnato collezioni femminili, mentre per il suo brand personale si occupa solo della linea uomo, continuando a lavorarci parallelamente dividendosi tra Parigi, sede di Dior, e Anversa, sede invece di Raf Simons.
Dieci cose notevoli di Raf Simons da Dior, scelte dal New York Times:
A qualche giorno dalla notizia delle dimissioni, i giornali specializzati e i critici di moda si sono chiesti il perché di una decisione così improvvisa e hanno cercato di spiegarne le vere ragioni.
Cathy Horyn su The Cut ha detto che Raf Simons era frustrato per il poco tempo che aveva per disegnare le sue collezioni. Come accade per buona parte dei marchi del lusso, infatti, i ritmi di lavoro sono molto sostenuti e dovendo presentare sei collezioni l’anno per Dior (due di prêt-à-porter, due di haute couture e due pre-collezioni) e due per il suo brand, Simons non aveva molto tempo per lavorare su nuove idee, come lui stesso aveva detto a Cathy Horyn in un’intervista per la rivista System: «Quando fai sei sfilate all’anno, non c’è tempo per l’intero processo. Tecnicamente sì, perché le persone che fanno i modelli e cuciono ce la possono fare, ma tu non hai il tempo di incubazione delle idee e il tempo di incubazione è molto importante. Quando provi a realizzare un’idea, guardi e pensi di volerla accantonare e ripensarci più tardi. Ma questo non è possibile se hai un unico team che lavora a tutte le collezioni». Per questo motivo poi Simons aveva diviso i suoi collaboratori in due diversi gruppi che si occupavano a rotazione delle diverse collezioni.
Questi aspetti del suo lavoro sono raccontati anche nel documentario “Dior and I” di Frédéric Tcheng, uscito nel 2014 e realizzato durante il primo anno di lavoro dello stilista a capo del brand.
Suzy Menkes su Vogue UK ha scritto che il problema del poco tempo per lavorare alle collezioni non coinvolge solo Simons, ma ha riguardato anche ad altri designer prima di lui, come Alexander Wang che se ne è andato da Balenciaga per la stessa ragione (oltre al fatto di non essere riuscito a rilanciare il marchio) o Galliano, che ai tempi di Dior si lamentava di essere sempre sotto pressione. Menkes ha detto che sono i creativi quelli a soffrire di più per i tempi ormai troppo veloci del mondo della moda: «Loro sono il cuore e l’anima della nostra industria. Senza di loro, non ci sarebbe la moda, nulla di nuovo, solo ripetizione travestita da invenzione». Oltre a disegnare gli abiti, ha spiegato Suzy Menkes, gli stilisti devono spesso partecipare agli eventi, alle aperture delle boutique e dedicarsi anche ai social network; il mercato del lusso nel suo richiedere tempi frenetici assomiglia sempre di più a quello delle catene fast fashion, quello delle catene di abbigliamento che producono molte collezioni a basso costo per ogni stagione.
Sull’Independent, la critica Alexander Fury invece avanza l’ipotesi che forse le limitazioni che Raf Simons aveva da Dior cominciavano a non andargli più bene. Lo stilista infatti non si occupava dell’immagine di tutta la casa di moda, come il design dei negozi o le campagne pubblicitarie, e secondo Fury, ad esempio, la recente campagna che ha come testimonial Rihanna fotografata da Steven Klein è molto distante dall’estetica che Simons ha creato per Dior negli ultimi anni.
Nel frattempo si sono cominciati a fare i primi nomi dei possibili successori di Simons, che come ipotizza The Cut dovrebbe avere un accordo con Dior per non poter disegnare per nessun altro brand – tranne il suo – per almeno un anno. Secondo quanto dicono gli addetti ai lavori, il prossimo direttore creativo di Christian Dior potrebbe essere scelto tra gli altri brand del gruppo LVMH. Si sono fatti i nomi di Riccardo Tisci, ora a capo di Givenchy, che però ha uno stile molto diverso da quello richiesto per Dior, e di Phoebe Philo, direttrice creativa di Céline, che però potrebbe essere restia ad adattarsi ai ritmi veloci di un’azienda così grande. Infine si parla anche di Nicholas Ghesquiére, il direttore creativo di Louis Vuitton, ma questa è un’ipotesi difficile dal momento che per lui le cose stanno andando molto bene nella casa di moda francese.