Cosa ha deciso il Sinodo dei vescovi
La relazione finale votata ieri contiene una maggiore apertura verso i divorziati risposati e il consueto rifiuto dei matrimoni gay, tra le altre cose
Domenica 25 ottobre si concluderà ufficialmente il Sinodo della Chiesa cattolica, cioè un’assemblea generale dei suoi vescovi, intitolato “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Al Sinodo, che si è aperto il 4 ottobre, hanno partecipato 270 vescovi da tutto il mondo che hanno discusso le pratiche della Chiesa su temi come la famiglia, il ruolo della donna e l’atteggiamento da prendere verso gli omosessuali. I lavori del Sinodo si sono formalmente conclusi nella sera di sabato 24, quando è stata votata una relazione finale di 94 punti che contiene fra le altre cose una sostanziale apertura nei confronti dei fedeli divorziati ma risposati.
Tutti e 94 i punti della relazione finale – che è stata messa insieme da una commissione di dieci vescovi sintetizzando tre settimane di discussione – sono stati appoggiati da una maggioranza di due terzi dei vescovi presenti, necessaria per considerarli “approvati”: cosa che ad esempio non era successa nel Sinodo “straordinario” dello scorso anno, quando i vescovi non avevano raggiunto la maggioranza su tre mozioni riguardo proprio la comunione ai divorziati e il riconoscimento delle coppie gay.
La notizia più rilevante contenuta nella relazione finale è una maggiore apertura della Chiesa nei confronti delle persone che hanno divorziato e si sono risposate, che secondo la dottrina cattolica devono essere escluse dai “sacramenti” (comunione e matrimonio, per esempio). Nella relazione non viene esplicitamente citata la possibilità di tornare a ricevere la comunione, ma solo un generico processo di integrazione seguito da un percorso di “discernimento”. Da oggi, spiega il punto 84 del testo, «occorre discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate». I punti 84 e 85, che parlano di una maggiore apertura della Chiesa nei confronti dei divorziati, sono stati comunque i più controversi: il punto 84 ha ottenuto 187 voti a favore e 72 contrari, mentre il punto 85 ha ricevuto 178 voti favorevoli – uno in più della maggioranza dei due terzi – e 80 contrari.
Un altro tema piuttosto divisivo è stato quello del matrimonio omosessuale, discusso nel punto 76. Benché secondo la relazione finale «ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto», il Sinodo ha ribadito che il matrimonio omosessuale non può essere paragonato a quello eterosessuale. Il punto è stato approvato con 221 voti a favore e 37 contrari.
Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).
Le decisioni del Sinodo non entrano direttamente nella dottrina della Chiesa cattolica, dato che l’assemblea dei vescovi è un organo consultivo. Il potere di farlo spetta solo a Papa Francesco, che per il momento non ha chiarito le sue intenzioni a riguardo.