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  • Mercoledì 21 ottobre 2015

L’omicidio di Vaprio e la legittima difesa

Le cose che sappiamo e quelle che non tornano sull'omicidio in provincia di Milano che ha riaperto la ciclica discussione sull'uso delle armi

La villetta di Francesco Sicignano a Vaprio d'Adda. (Spada - LaPresse)
La villetta di Francesco Sicignano a Vaprio d'Adda. (Spada - LaPresse)

Nella notte tra lunedì 19 e martedì 20 ottobre a Vaprio d’Adda, un comune in provincia di Milano, un uomo di 65 anni ha ucciso un uomo che era entrato in casa sua, probabilmente per tentare un furto. La casa in questione è una villetta familiare a due piani: al secondo piano dormiva Francesco Sicignano, pensionato di 65 anni, che è stato svegliato da alcuni rumori provenienti dall’appartamento, ha preso la pistola che conservava nel comodino e ha sparato a un ragazzo uccidendolo. La procura di Milano ha aperto un’indagine, inizialmente per eccesso colposo di legittima difesa e poi per omicidio volontario: questa decisione – scaturita anche da alcuni aspetti poco chiari dei fatti – ha generato molte discussioni e polemiche, riaprendo un vecchio dibattito sulla legittima difesa e sulle norme che la regolano.

Dall’inizio
Vaprio d’Adda è un comune da quasi 9.000 abitanti che si trova praticamente sul confine tra la provincia di Bergamo e quella di Milano. Francesco Sicignano è un ex imprenditore in pensione, originario di Terracina nel Lazio: i giornali scrivono che negli anni aveva “aperto e chiuso una mezza dozzina di imprese di costruzioni tra Milano, la Brianza e Vaprio” e che ha “remoti e piccolissimi precedenti di natura finanziaria” (il Corriere però aggiunge, senza specificare ulteriormente, che ha un precedente giudiziario “vecchio e per un reato piuttosto grave”). Sicignano vive in una villetta a due piani su via Cagnola insieme ai figli e alle rispettive famiglie, e ha raccontato di aver subìto due furti negli ultimi mesi: uno all’inizio dell’estate, al primo piano, all’epoca denunciato; uno giovedì scorso, mai denunciato.

Sicignano dice di aver sentito dei rumori di notte, mentre dormiva al secondo piano della villetta; di essersi svegliato e di aver preso la pistola regolarmente detenuta che conservava nel comodino (Repubblica scrive che aveva anche un’altra arma, “sequestrata dai carabinieri”); dice di essersi poi «trovato davanti una sagoma che aveva un arnese in mano» e di aver esploso un colpo; successivamente sarebbe corso fuori dal balcone e avrebbe esploso altri colpi in aria per far scappare altre due persone che aspettavano fuori dalla villetta. Il ragazzo ucciso è un albanese di 22 anni con precedenti penali e già espulso dall’Italia nel 2013 (anche se la Stampa scrive di un rumeno intorno ai trent’anni): non era armato, aveva in mano una torcia elettrica, era scalzo (stava usando i calzini per coprirsi le mani, così da non lasciare impronte) ed è morto poco dopo essere stato colpito al cuore. Sicignano ha chiamato l’ambulanza poco dopo aver sparato e martedì ha detto più volte che non voleva uccidere il ragazzo.

Le cose che non tornano
La procura inizialmente ha aperto un’indagine per eccesso colposo di legittima difesa, spiegando che si trattava di un atto dovuto per permettere ai magistrati di indagare su quanto accaduto; il capo d’accusa poi però è stato cambiato con uno più grave, omicidio volontario. Non è ancora chiaro dove effettivamente si trovasse il ragazzo albanese quando è stato colpito: Sicignano dice di averlo trovato in cucina, di aver notato che aveva in mano «un arnese» e di avergli sparato. Stando a quanto raccontano oggi i giornali, però, dai rilievi della polizia non sono emerse tracce di sangue dentro casa ma soltanto sulla scala tra primo e secondo piano, dove il ragazzo albanese è stato poi trovato morto. Sicignano dice che i complici «dopo lo sparo hanno provato a portarlo fuori per scappare» ma poi lo hanno abbandonato sulle scale.

I magistrati dovranno chiarire quindi se Sicignano ha effettivamente sparato al ragazzo albanese dentro l’appartamento e poi si sia – o sia stato – trascinato verso le scale, trovando una spiegazione per l’assenza di sangue dentro l’appartamento, oppure se Sicignano ha invece sparato al ladro mentre questo si trovava sulla scala, prima di entrare in casa o mentre stava scappando. Scrive oggi il Corriere della Sera: “Tra le due ricostruzioni (che il ladro sia stato colpito in casa o, al contrario, sulle scale all’esterno) passa una differenza radicale per definire il reato e per le reazioni dell’opinione pubblica”. La Stampa invece la mette così: “Da accertare se il ladro sia scappato riuscendo ad arrivare alle scale dopo essere stato colpito o se il pensionato lo abbia inseguito in un impeto di paura o di furore. Un’ipotesi che con il passare delle ore si fa sempre più concreta”. I magistrati hanno disposto l’autopsia sul corpo del ragazzo ucciso. Non sono stati trovati segni di effrazione a casa di Sicignano.

Sempre il Corriere:

Il proiettile avrebbe avuto una traiettoria dall’alto verso il basso, compatibile con un colpo sparato dalla cima delle scale verso gradini più in basso. Tanto che, da quanto si è saputo, il pm avrebbe contestato all’indagato questo fatto chiedendogli: «Scusi, ma lei è salito su una sedia per sparare?». Sicignano ha spiegato di aver sparato in casa sua (al terzo piano), in cucina, dalla distanza di 2,5 metri. Il cadavere del ladro però era sulla scala esterna, tra secondo e primo piano. Sicignano ha raccontato che l’albanese, una volta colpito, sarebbe riuscito ad uscire di casa e poi sarebbe morto sulle scale esterne. Però, stando alla versione dell’indagato, l’albanese avrebbe dovuto prima uscire dalla finestra della cucina (da cui era anche entrato), poi passare su una grondaia e su un terrazzo e, infine, arrivare alle scale: cosa che gli inquirenti ritengono poco probabile, perché il ragazzo è stato raggiunto da un proiettile al cuore. Serviranno, però, gli esami balistici per ricostruire meglio la traiettoria del proiettile.

Le polemiche successive
Martedì sera di fronte la villetta si è tenuta una piccola manifestazione, guidata dai politici milanesi Riccardo De Corato e Carlo Fidanza, di Fratelli d’Italia, per esprimere solidarietà a Sicignano. C’erano bandiere del partito, sono stati cantati cori «Sei uno di noi» e poi anche l’inno nazionale. Sicignano si è affacciato brevemente dal balcone per salutare i manifestanti («ha accennato un sorriso», scrive il Corriere). Roberto Maroni, presidente della Lombardia e politico della Lega Nord, ha espresso solidarietà a Sicignano e ha detto che la regione sosterrà le spese legali necessarie alla sua difesa; Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, ha scritto su Twitter: “Che doveva fare il pensionato, offrire caffè e biscotti? Quel pensionato ha difeso la sua famiglia, e ha fatto bene!”.

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Enrico Costa, politico di Nuovo Centro Destra e sottosegretario alla Giustizia, intervistato dalla Stampa ha detto che «i tempi cambiano e le leggi si devono adeguare», sostenendo che i ladri oggi siano più violenti che in passato e per questo che «in Parlamento sia giusto rifletterci. Se la criminalità cambia, il legislatore ha il dovere di cambiare le pene, ma senza venire meno ai principi. Dev’essere chiaro che non c’è il diritto alla vendetta. Per essere espliciti, se uno insegue il ladro in strada e gli spara, non potrà mai essere considerata una legittima difesa. Se si spara in casa perché si teme per la propria incolumità o libertà, ci si può pensare. Ahimè non è più il tempo in cui bastava accendere la luce per far scappare il ladro».

La lunga discussione sulla legittima difesa
Il tema della legittima difesa e dei suoi limiti ritorna ciclicamente nel dibattito italiano, solitamente in corrispondenza di fatti di cronaca simili a quello che riguarda Francesco Sicignano. L’istituto della legittima difesa è disciplinato dall’articolo 52 del codice penale, che stabilisce: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

La norma è stata poi modificata nel 2006, durante il governo Berlusconi III, allo scopo di estendere il concetto di “legittima difesa” aggiungendo la legittimità dell’uso di un’arma da fuoco legalmente detenuta se al fine di difendere “la propria o altrui incolumità” oppure “i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione”. Ammettendo in questi casi la legalità dell’uso di un’arma, la modifica del 2006 ne ha esteso la legittimità oltre i criteri iniziali della proporzionalità; quel criterio però rimane ed è il motivo per cui poi, valutando caso per caso, i magistrati decidono comunque se aprire indagini per eccesso colposo di legittima difesa o per presunti reati più gravi. Per esempio, la legittima difesa potrebbe non essere riconosciuta nei casi in cui venga attaccata una persona alle spalle o mentre sta scappando.