I morti dell’Hajj sono più di duemila, dice AP
La stima ufficiale del governo saudita sulla strage del 24 settembre è ferma a 769 persone, ma la conta degli altri governi e delle agenzie di stampa internazionali la supera di molto
Secondo una nuova conta di Associated Press, le persone morte lo scorso 24 settembre in Arabia Saudita nella calca del pellegrinaggio verso la Mecca – il cosiddetto Hajj – sono almeno 2.110. La nuova stima, scrive AP, si basa su quanto discusso in una riunione tenuta domenica sera tra funzionari del governo saudita alla presenza del principe Mohammed bin Naif bin Abdul Aziz; l’Arabia Saudita è stata accusata da subito di scarsa trasparenza nel comunicare informazioni sulla strage alla stampa e alle famiglie coinvolte. Tutt’ora secondo la stima ufficiale dei sauditi il 24 settembre ci sono stati 769 morti e 934 feriti.
La stima dei sauditi però è stata contraddetta più volte, in un primo momento dalle stesse comunicazioni fatte dal governo saudita alle nazioni dei pellegrini uccisi: già pochi giorni dopo la strage l’Arabia Saudita aveva fornito a India e Pakistan tra le 1.090 e le 1.100 fotografie di persone morte durante l’Hajj per effettuare il riconoscimento dei corpi; basandosi sulle stesse fonti diplomatiche l’agenzia AFP aveva ritoccato poi la cifra portandola a 1.753. L’inaffidabilità della conta saudita è dimostrata anche dal fatto che Iran (465), Nigeria (173), Egitto (177), India (116), Costa d’Avorio (52) e Bangladesh (137) da soli hanno denunciato la morte di 1.120 loro connazionali e di oltre 300 dispersi.
L’agenzia internazionale Associated Press è quella che ha seguito meglio la strage e il comportamento dell’Arabia Saudita – che è una monarchia assoluta – e nel corso dei giorni ha più volte ritoccato verso l’alto la sua conta delle persone uccise. Se l’ultima conta fosse confermata la strage del 24 settembre sarebbe la più grave nella storia dell’Hajj, dopo l’incidente che nel 1990 aveva portato alla morte di 1.426 persone.
L’incidente dello scorso 24 settembre è avvenuto a Mina, un quartiere periferico della Mecca, mentre si stava svolgendo lo Jamarat, uno dei riti che fanno parte dell’Hajj, il pellegrinaggio annuale alla Mecca che ogni musulmano dovrebbe compiere almeno una volta nella vita. Secondo la ricostruzione più diffusa e riconosciuta come valida, due gruppi di pellegrini si sono scontrati in una zona dove si incrociano due strade molto anguste e con poche vie di fuga: le persone hanno iniziato a cadere e altre le hanno calpestate spinte dalla folla dietro di loro.
Secondo le regole islamiche tutti i pellegrini devono compiere lo Jamarat durante lo stesso giorno e, anche se negli anni l’Arabia Saudita ha migliorato le misure di sicurezza, non sono rari incidenti simili a quello del 24 settembre. Quest’anno circa 2 milioni di persone erano presenti a Mina per l’Hajj quando è avvenuto l’incidente, e l’Arabia Saudita è stata anche molto criticata per l’inadeguatezza dell’organizzazione logistica del pellegrinaggio e delle misure di sicurezza; pochi giorni prima della strage, il crollo di una gru alla Grande moschea della Mecca aveva provocato la morte di almeno 109 persone.
L’Arabia Saudita ha aperto un’inchiesta sulla strage e le indagini sono ancora in corso. L’agenzia di stampa ufficiale del governo saudita ha scritto che il principe Mohammed bin Nayef è stato «rassicurato» sul progresso delle indagini. I pellegrini sopravvissuti all’incidente hanno accusato la polizia saudita per la cattiva gestione della folla (sembra che alcune vie di fuga fossero state chiuse e che l’intervento dei soccorsi non sia stato immediato), mentre i funzionari sauditi hanno, almeno in un primo momento, dato la colpa ai pellegrini che non avrebbero rispettato le regole che gli erano state impartite. I risultati dell’inchiesta saudita saranno presentati al re Salman, che ha già comunque ordinato una revisione del modo in cui è organizzato l’Hajj.