La risposta di Amazon al New York Times, due mesi dopo
Il vicepresidente per gli affari aziendali Jay Carney ha accusato il giornale di essere stato approssimativo nella sua inchiesta sulle condizioni di lavoro in azienda
A due mesi circa dalla pubblicazione sul New York Times di un articolo molto critico nei confronti di Amazon e delle condizioni in cui lavorano i suoi impiegati, il vicepresidente per gli affari aziendali di Amazon Jay Carney ha pubblicato un lungo post su Medium in cui accusa il giornale di essere stato approssimativo e impreciso. Secondo Carney, nell’articolo di agosto sarebbero stati omessi diversi dettagli che avrebbero reso la notizia “molto meno sensazionale, molto più equilibrata” e “molto più noiosa”. Carney lavora in Amazon dallo scorso marzo, mentre dal 2011 al 2014 era stato portavoce della Casa Bianca. L’articolo del New York Times era stato ripreso moltissimo dai media di tutto il mondo, portando a dure critiche nei confronti di Amazon e a riflessioni in generale sulle condizioni in cui lavorano i dipendenti di alcune delle più grandi aziende del mondo legate a Internet.
Carney scrive che molte delle vicende raccontate dal New York Times nell’articolo sono state pubblicate senza le adeguate verifiche. Cita per esempio il caso di Bo Olson, un impiegato che aveva detto al giornale di avere visto piangere alla scrivania “praticamente qualsiasi persona” con cui avesse lavorato in Amazon. Per Carney, Olson non è però una fonte attendibile: lasciò il suo posto di lavoro dopo avere ammesso la tentata truffa nei confronti di alcuni rivenditori che vendono attraverso il sito di Amazon.
Il New York Times aveva scritto anche che una ex dipendente era stata “sommersa” di commenti negativi anonimi da parte di altri dipendenti, attraverso un sistema di valutazione interno per chi lavora in Amazon. Carney dice che le cose andarono diversamente: la dipendente ricevette solo tre valutazioni in tutta la sua carriera in azienda e solo contenenti consigli per migliorare il suo lavoro, con affermazioni del tipo “È stato un piacere lavorare con te”.
Carney accusa Jodi Kantor, autrice dell’articolo con David Streitfeld, di “non avere mai chiesto a noi un commento o qualsiasi altra cosa sulla decina di storie negative su cui è imperniata la loro inchiesta”. Carney dice anche che nelle ultime settimane Amazon aveva inviato diverso materiale al New York Times, senza ottenere però la pubblicazione di rettifiche sull’articolo di agosto. Il post su Medium è nato proprio dalla mancata disponibilità del giornale a rivedere alcune posizioni.
Il direttore del New York Times, Dean Baquet, ha risposto a Carney con un proprio post su Medium per spiegare la posizione del giornale e dare qualche dettaglio sull’inchiesta di agosto. Baquet conferma che per realizzarla sono state utilizzate le testimonianze di più di 100 impiegati ed ex dipendenti di Amazon, cosa che ha permesso di identificare dei pattern circa l’ambiente di lavoro duro e altamente competitivo in diversi settori dell’azienda. Secondo Baquet le testimonianze smontate da Carney sono simili a quelle di altri impiegati con storie più solide. Per quanto riguarda Olson, Baquet dice che l’ex impiegato “non ha mai detto di essere stato accusato di condotta fraudolenta o di avere falsificato delle informazioni, né ha ammesso di averlo fatto”.
Carney ha risposto con un ulteriore post su Medium mantenendo il punto, accusando i due giornalisti del New York Times di non essere stata sufficientemente accurati nella loro inchiesta. Secondo Carney il fatto che siano state intervistate più di cento persone non giustifica il fatto che gli autori dell’articolo abbiano “scelto di non verificare le storie delle loro fonti più importanti”, aggiungendo che se non lo hanno fatto per le fonti con nomi e cognomi “i lettori quanto dovrebbero ritenere credibili gli aneddoti e le citazioni da fonti anonime, quelle su cui nessuno può fare delle verifiche?”.
Il primo post di Carney è comunque insolito per un’azienda come Amazon, che di solito preferisce non commentare in alcun modo gli articoli che la riguardano, soprattutto se si tratta del modo in cui funzionano le cose al suo interno. Dopo la pubblicazione in agosto dell’articolo, il CEO di Amazon – Jeff Bezos – si era limitato a dire che la descrizione del New York Times “non riflette l’Amazon che conosco io”. L’azienda aveva inoltre reso pubblica l’email inviata da Bezos ai dipendenti contenente un commento e qualche riflessione sull’articolo. Alcuni impiegati di Amazon nelle settimane seguenti avevano pubblicato sui social network le loro esperienze, dicendo di avere avuto esperienze positive in un ambiente di lavoro normale.