È morto Ken Taylor, l’ambasciatore canadese che nascose gli americani a Teheran nel 1979
Quello del film "Argo", insomma
È morto a 81 anni Ken Taylor, diplomatico e uomo d’affari canadese che tra le altre cose fu ambasciatore a Teheran, in Iran, dal 1977 al 1980. Taylor è famoso soprattutto per come diede protezione a sei cittadini statunitensi subito dopo la Rivoluzione degli ayatollah in Iran e di come partecipò – in collaborazione con la CIA, il servizio di intelligence del governo degli Stati Uniti – alla creativa operazione con cui i sei furono fatti uscire dall’Iran. La storia è stata resa pubblica quando il governo americano ha desecretato i documenti relativi a quell’operazione, che inizialmene si credeva fosse stata portata avanti solo dai canadesi, ed è stata raccontata nel popolare film Argo, diretto da Ben Affleck.
L’operazione di spionaggio organizzata da Stati Uniti e Canada avvenne durante la cosiddetta “crisi degli ostaggi” che ebbe inizio il 4 novembre a Teheran, dopo la rivoluzione islamica guidata dall’ayatollah Khomeini. Il mattino del 4 novembre del 1979 alcune centinaia di studenti islamici e attivisti attaccarono l’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran – contestavano soprattutto la decisione del presidente Jimmy Carter di accogliere lo scià Reza Pahlavi, fuggito dall’Iran – e presero in ostaggio 52 dei suoi dipendenti. La liberazione degli ostaggi avvenne solo 444 giorni dopo, al termine di lunghi e complicati negoziati, e la crisi contribuì ad affondare la presidenza di Carter e le sue speranze di rielezione alle presidenziali del 1981. Gli ostaggi furono liberati il 20 gennaio 1981, proprio mentre Ronald Reagan stava giurando come nuovo presidente.
Taylor fu coinvolto però nella vicenda di sei dipendenti statunitensi che al momento dell’attacco si trovavano nei loro uffici e riuscirono a non essere fatti prigionieri. Quando gli iraniani fecero irruzione, due gruppi di diplomatici riuscirono a fuggire per le strade di Teheran: il primo gruppo e un altro che venne però intercettato e riportato all’ambasciata. Il primo gruppo – che in quel momento era composto da cinque persone, perché Lee Schatz entrò a farvi parte solo più tardi dopo avere trovato iniziale protezione dai diplomatici svedesi – si diresse verso l’ambasciata britannica, ma dopo aver incontrato una folla di manifestanti lungo la strada cambiò percorso trovando infine rifugio nella casa di Robert Anders, che era nelle vicinanze.
Da lì in poi il gruppo cambiò posizione cinque volte e per sei giorni fino a quando Anders decise di contattare il suo vecchio amico John Sheardown, un diplomatico canadese che si occupava di immigrazione. Il 10 novembre, sei giorni dopo la fuga dall’ambasciata, il gruppo di Anders arrivò alla casa di John Sheardown e lì incontrò l’ambasciatore canadese Ken Taylor. Due americani si trasferirono da Taylor mentre gli altri quattro rimasero a casa di Sheardown e di sua moglie Zena. Taylor si mise direttamente in contatto con il primo ministro del Canada, Joe Clark, e con il segretario di Stato per gli affari esteri canadese, Flora MacDonald. Il governo canadese pensò di portare via dall’Iran i sei diplomatici statunitensi attraverso un volo aereo internazionale, usando passaporti canadesi. I passaporti contenevano una serie di visti iraniani preparati dall’intelligence statunitense in modo da apparire autentici. La CIA chiese a un suo esperto, Tony Mendez, di escogitare una storia verosimile che potesse funzionare come copertura per motivare il viaggio in aereo dei sei diplomatici e fornire loro gli opportuni travestimenti eventualmente necessari.
Una scena del film Argo con l’ambasciatore Taylor, a sinistra, e l’agente Mendez a destra.
Mendez arrivò a Teheran accompagnato da un assistente noto con il nome “Julio”, che sarebbe rimasto con lui durante la missione e che aveva già lavorato con Mendez in altre operazioni. Erano state valutate diverse possibili storie ma alla fine Mendez decise di far credere che i sei diplomatici fossero una troupe di Hollywood in cerca di possibili ambientazioni per un film di prossima uscita: Argo, appunto. Ogni dettaglio fu escogitato e curato come se la produzione di quel film fosse assolutamente reale. Come fonte di ispirazione alla base della storia del finto film fu usato il libro “Il Signore della Luce”, un romanzo di fantascienza del 1967 – dello scrittore Roger Zelazny – che faceva ampio uso di personaggi e storie tratti dalla mitologia indiana.
Fu allestito un vero studio cinematografico a Los Angeles, lo “Studio Six”, grazie all’aiuto di un responsabile del trucco di Hollywood, John Chambers. Ai sei diplomatici fu detto che qualsiasi telefonata diretta verso gli studi cinematografici di Hollywood, tra quelli che avessero chiesto di parlare con lo “Studio Six”, avrebbe ricevuto risposta. Per rendere tutto ancora più verosimile fu allestito anche un ufficio presso i Sunset Gower Studios a Sunset Boulevard, utilizzando un ufficio precedentemente usato dall’attore Michael Douglas in occasione delle riprese del film Sindrome cinese, nel 1979.
Le pubblicità dello Studio Six e del film Argo cominciarono a circolare sui media americani e su magazine molto popolari come The Hollywood Reporter. Su Variety, in particolare, fu pubblicata una locandina del film. In un nightclub a Los Angeles fu organizzata anche una festa di presentazione del film e della nuova casa di produzione. Nelle pubblicità come produttore del film fu citato Robert Sidell, che era un amico di Chambers e truccatore pure lui, e che avrebbe in seguito lavorato per le riprese di E.T. L’extraterrestre, nel 1982. Per l’impegno di fondamentale importanza e per l’aiuto fornito a Mendez, Chambers fu poi premiato dalla CIA con una medaglia al merito.
La mattina del 27 gennaio 1980 Mendez, “Julio” e i sei diplomatici americani – tutti parte della finta troupe hollywoodiana – passarono facilmente i controlli di sicurezza all’Aeroporto internazionale di Teheran-Mehrabad, mostrando i loro falsi documenti. Dopo alcuni ritardi dovuti a problemi meccanici al jet di linea che avrebbe dovuto riportarli a casa, tutti e otto si imbarcarono sul volo 363 della compagnia aerea Swissair, diretto a Zurigo. Per una coincidenza il nome dell’aereo era Argovia, dal nome dell’omonimo cantone settentrionale della Svizzera. Una volta arrivati in Svizzera i sei diplomatici statunitensi furono portati in un luogo segreto e più sicuro da alcuni agenti della CIA: arrivarono negli Stati Uniti soltanto tre giorni dopo. Mendez e “Julio” presero un altro volo per Francoforte, in Germania.
Il 28 gennaio, il giorno dopo la fuga, l’ambasciata canadese venne chiusa; Taylor e gli altri membri del suo staff tornarono in Canada. Gli Stati Uniti decisero di non parlare del proprio ruolo nell’operazione, considerati tutti gli altri americani ancora ostaggi – lasciando onori, visibilità e responsabilità al Canada. Taylor fu accolto alla Casa Bianca da Ronald Reagan, fu nominato console generale del Canada a New York e gli vennero consegnate le chiavi della città. Taylor aveva una moglie, un figlio e due nipoti.