Le modelle sono quasi sempre bianche
E soprattutto negli Stati Uniti il tema è discusso, ancora di più ora che cresce la clientela asiatica
di Enrico Matzeu – @enricomatzeu
Un articolo di Business of Fashion ha spiegato questa settimana una questione discussa nel mondo della moda statunitense, ovvero quella della scarsa aderenza alla varietà razziale dei modelli estetici che si vedono sulle passerelle delle sfilate o sui giornali di settore: soprattutto rispetto all’aumentare di questa varietà tra i clienti della moda. Sulle pubblicità o sulle copertine delle riviste di moda c’è ancora una grandissima prevalenza di modelle bianche rispetto a quelle di colore, asiatiche, mediorientali e latinoamericane, ancora in netta minoranza sebbene le loro provenienze rappresentino una fetta di mercato sempre più consistente.
Durante le ultime settimane della moda, per le presentazioni delle collezioni primavera/estate 2016, Business of Fashion ha tenuto d’occhio le 117 sfilate dei brand più grandi che hanno sfilato tra New York, Londra, Milano e Parigi e ha verificato che su 3.875 modelle presenti, solo 797 erano non bianche (quindi le modelle nere, asiatiche e le latine non bianche). Le modelle bianche sono quindi il 79,4 per cento del totale e della percentuale rimanente il 10,2 per cento sono modelle nere, il 6,5 per cento sono asiatiche, il 2,3 per cento sono indiane o mediorientali, mentre l’1,6 per cento sono ispano-americane. Il discorso è simile anche per quanto riguarda le copertine delle riviste di moda. Prendendo in considerazione ad esempio 27 copertine delle edizioni di settembre selezionate da The Fashion Spot, solo 4 hanno per protagonista una persona di colore. Ampliando la ricerca, come ha fatto Fashionista, su 42 copertine solo 12 hanno una modella nera o asiatica.
Il 2007 fu un anno importante per questo tema, perché allora l’ex modella di colore Bethann Hardison, fondatrice dell’associazione Diversity Coalition, che lavora con le istituzioni della moda per assicurarsi che non vi siano discriminazioni razziali, convocò una conferenza stampa a New York, accusando l’industria della moda di continuare a discriminare le minoranze. Da quel momento secondo Hardison le cose sono cambiate e sono state prese diverse iniziative, soprattutto dai giornali, per dimostrare che non vi è alcun razzismo nella moda.
L’anno dopo, la direttrice di Vogue Italia, Franca Sozzani, pubblicò sul numero di luglio solo modelle di colore. Sozzani disse in un’intervista al Corriere della Sera: «Nella moda non vedo affatto discriminazioni. In passerella le ragazze nere non hanno più alcun problema. Qualche anno fa forse, ma ormai è superato. La nostra scelta di mettere nel numero di luglio solo modelle nere è un omaggio alla loro bellezza». Da qualche anno sul sito della rivista c’è la sezione VBlack, che raccoglie articoli che hanno per oggetto solo modelle, stilisti o personaggi famosi di colore.
A giudicare dai dati raccolti da Business Of Fashion, negli anni le cose non sarebbero invece cambiate molto e il tema delle differenze razziali nella moda riguarda anche gli stilisti.
In un articolo dello scorso febbraio sul New York Times, Vanessa Friedman scriveva che dei 470 stilisti iscritti al Council of Fashion Designers of America (il corrispondente americano della Camera della Moda) solo 12 sono afroamericani e tra le 260 sfilate in programma in quella settimana della moda di New York, solo il 2,7 per cento era di uno stilista nero e questi erano rappresentati dalla stilista Tracy Reese e da quelli di Public School e Hood by Air.
Negli ultimi anni è però cresciuto anche il divario tra i modelli rappresentati dalle case di moda e i clienti che comprano da questi brand.
Secondo la società di consulenza americana Bain & Company negli ultimi otto anni il mercato del lusso è cresciuto di circa il 10 per cento nei paesi dell’Asia e del Pacifico e oggi i mercati che stanno crescendo più in fretta per i prodotti del lusso sono quelli del Medio Oriente e dell’Africa. Sulle passerelle e sulle pubblicità però si vedono poche modelle nere o dai tratti mediorientali e asiatici. Sempre su Business of Fashion, Frédéric Godart, assistente universitario al master internazionale d’economia INSEAD, dice che l’industria della moda si è sviluppata in Occidente, dove hanno sede le principali aziende del lusso, come Kering e LVMH, e dove si tengono anche le principali settimane della moda ed è quindi per questo che i brand sono abituati a rivolgersi a un consumatore occidentale. Lo confermano anche i dati sulle pubblicità di prodotti del lusso, raccolti da un articolo di The Fashion Spot: su 460 pubblicità prese in considerazione, quasi l’85 per cento aveva come protagoniste modelle bianche.
Reina Lewis, docente di Studi Culturali al London College of Fashion, spiega che in realtà «il mito e l’ideale di un prodotto occidentale fanno parte di quello che i brand occidentali rappresentano per i mercati in via di sviluppo». In sostanza quando un cliente cinese compra, ad esempio, una borsa di Prada, la ricollega al marchio italiano quindi la borsa «non deve apparire come qualcosa di locale, anche qualora fosse prodotta in Cina», o come associata a modelli locali. Lewis spiega anche che non è stata la moda ad inventarsi la tendenza a considerare i corpi caucasici come simbolo di bellezza, ma che già in passato nell’arte, nella letteratura e nel teatro si ebbe la tendenza a estendere alcuni modelli europei come ideali culturali.
Recentemente c’è stato però un aumento delle modelle asiatiche nelle sfilate e nelle pubblicità e molte case di moda hanno scelto attrici e cantanti cinesi come testimonial nei mercati orientali. Minh-Ha Pham, assistente alla Cornell University, si chiede però cosa succederà quando l’economia asiatica calerà, e crede che sia pericoloso proporre la diversità solo quando la richiede il mercato.