Com’è andata la quotazione in borsa di Poste Italiane

È la più grande operazione di privatizzazione di una società dello Stato dai tempi di ENEL nel 1999

Foto Piero Cruciatti / LaPresse
Foto Piero Cruciatti / LaPresse

Aggiornamento del 23 ottobre: Sono stati ottenuti 3,1 miliardi di euro dalla IPO di Poste Italiane. Il Ministero delle Finanze ha stabilito il prezzo finale delle azioni a 6,75 euro ciascuna, era previsto che sarebbe stato tra i 6 e i 7,50. Le contrattazioni in borsa cominceranno la prossima settimana.

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Poste Italiane comincia oggi, 12 ottobre, la sua IPO (Initial Public Offering, in italiano Offerta Pubblica Iniziale), cioè venderà parte delle sue azioni e verrà quotata in borsa. Poste Italiane gestisce larga parte del mercato postale in Italia e offre anche servizi bancari e telefonici. Il 27 ottobre avverrà la quotazione vera e propria, ma da oggi è cominciata la vendita di azioni a investitori istituzionali e piccoli risparmiatori che durerà fino al 22 ottobre. Poste Italiane metterà in vendita azioni per poco meno del 40 per cento del suo valore totale. Il controllo della società rimarrà comunque in mano al ministero delle Finanze, che ne deterrà il 60 per cento e dovrebbe incassare dall’operazione una cifra tra i 2,7 e i 3,7 miliardi di euro. L’azienda in totale dovrebbe arrivare a un valore di circa 9 miliardi di euro. Francesco Caio, amministratore delegato di Poste Italiane, ha anche confermato il piano di 8mila assunzioni che era già stato annunciato precedentemente.

La quotazione delle azioni

Saranno collocate 453 milioni di azioni, corrispondenti al 34,7 per cento del capitale della società; il prezzo della singola azione dovrebbe andare dai 6 ai 7,5 euro. Il prezzo finale dipenderà da quanti avranno deciso di comprare nei prossimi 10 giorni. Di questi 453 milioni, il 70 per cento sarà venduto a investitori istituzionali (banche, fondi di investimento, eccetera) e il 30 per cento ai singoli risparmiatori. In questi giorni i dirigenti di Poste Italiane andranno a proporre l’acquisto a grandi investitori internazionali. Le azioni collocate potrebbero diventare 489,3 milioni – quindi il 38,2 per cento del capitale – qualora si decidesse di esercitare appieno l’opzione “greenshoe”. Quando vengono fatte delle IPO spesso si ricorre all’opzione “greenshoe” per cercare di stabilizzare il prezzo dell’azione sul mercato: gli istituti che vendono le azioni (spesso le banche) possono stipulare un’opzione con l’azienda che sta effettuando l’IPO per delle azioni extra, oltre quelle previste inizialmente. Se il prezzo al termine dell’IPO è molto più alto di quello previsto, la banca vende le azioni extra, aumentando l’offerta e abbassando il prezzo.

Comprare le azioni

Le azioni potranno essere acquistate dai risparmiatori in pacchetti minimi da 500, quindi con una spesa minima tra i 3.000 e i 3.750 euro. L’acquisto può essere fatto nella propria banca. Per chi deterrà le azioni per almeno un anno è previsto una sorta di “premio fedeltà”, per cui verrà distribuita un’azione extra gratuita ogni 20 detenute. Non è detto che tutti i risparmiatori interessati riescano ad acquistare le azioni: se ci saranno troppe richieste e la domanda supererà l’offerta si procederà con un meccanismo di sorteggio, che viene spesso utilizzato in operazioni di queste dimensioni. La tassazione sulle azioni di Poste Italiane sarà identica a quella di qualsiasi altro titolo della borsa italiana, quindi con un’aliquota del 26 per cento.

Un massimo di 14,9 milioni di azioni potranno essere comprate anche dai dipendenti di Poste Italiane: l’acquisto minimo è più basso in questo caso – 50 azioni – e il bonus di cui si usufruisce per avere detenuto le azioni un anno ha un rapporto ancora più conveniente: un’azione extra gratuita ogni 10 detenute. I dipendenti possono inoltre acquistare un massimo di 100 azioni utilizzando dei soldi anticipati dal proprio TFR (Trattamento di Fine Rapporto). Per i dipendenti di Poste il termine per acquistare le azioni è il 21 ottobre, anziché il 22.

Le altre privatizzazioni

Si tratta della prima quotazione di una società controllata direttamente dal ministero delle Finanze dal 1999, quando venne fatta un’operazione molto simile con ENEL. L’anno prossimo dovrebbero seguire ENAV, la società che si occupa del controllo del traffico aereo, e di Ferrovie dello Stato: l’idea è quella di usare i soldi ricavati da queste vendite per ridurre il debito pubblico. In ogni caso si tratta di una privatizzazione “a metà” poiché il controllo della società rimane comunque in mano al Ministero delle Finanze. Secondo il ministero quest’operazione ha il vantaggio di mantenere il controllo pubblico ma con la stabilità di una società quotata. Secondo l’economista Carlo Scarpa però ci sono alcune cose che lasciano perplessi in questa privatizzazione: innanzitutto Poste continuerà a mantenere un monopolio in alcuni settori del servizio postale, come quello dell’invio degli atti giudiziari la cui liberalizzazione è stata rinviata almeno a metà 2017. Un altro intervento permette alle Poste di effettuare anche il servizio di corriere espresso come servizio universale. Il servizio universale è quello che viene affidato ad un’impresa pubblica perché caratterizzato da costi molto alti per l’azienda che non garantirebbero l’equilibrio economico e quindi non possono essere svolti da privati. Nel servizio universale rientrano quei servizi che si ritiene debbano essere disponibile a modiche cifre per tutti i cittadini. Il servizio di corriere espresso è però già effettuato da altre imprese, mentre Poste Italiane entra a farne parte con l’esenzione dell’IVA. Oltre a quello di corriere espresso rientrano nel servizio universale di Poste anche altri servizi che secondo al Corte di giustizia europea  dovrebbero essere affidate al libero mercato. Poste Italiane è stata seguita da Rothschild dal punto vista finanziario e da Clifford Chance da quello legale.