Il video del poliziotto di Cleveland che si rifiuta di sparare a un nero
È stato diffuso dal dipartimento di polizia locale e smentisce una ricostruzione precedente sulla morte di un afroamericano di 64 anni
Alcuni giorni fa la polizia di Cleveland, città dello stato dell’Ohio, ha diffuso un video che mostra l’intervento di alcuni poliziotti in casa di Theodore Johnson, un 64enne afroamericano con vari precedenti penali. Il video, che è stato girato da una telecamera posizionata addosso al poliziotto David Muniz, sta girando parecchio online ed è stato ripreso da diversi siti di news americani: mostra Muniz reagire con molta calma a una situazione di crisi, dopo che era stato colpito da un colpo di pistola sparato da Johnson ma bloccato dal giubbotto antiproiettile. Nel video si vede Muniz che si rifiuta di sparare a Johnson, proprio mentre Johnson supplica i poliziotti presenti di sparargli. Dopo pochi istanti si vede però Johnson che si muove per sparare contro un agente, e viene ucciso.
L’Atlantic ha celebrato l’esempio positivo di Muniz in opposizione a comportamenti più violenti e sbrigativi di altri poliziotti della città di Cleveland: per esempio un caso di cui si parlò molto fu quello di Tamir Rice, un ragazzino di 12 anni ucciso nel novembre del 2014 da un poliziotto dopo che aveva minacciato alcune persone con una pistola giocattolo. In generale, da anni negli Stati Uniti si discute dell’atteggiamento ostile e discriminatorio della polizia nei confronti dei neri. Anche la morte di Johnson – avvenuta l’11 marzo 2015 – era stata considerata controversa finché la polizia di Cleveland non ha diffuso questo video agli inizi di ottobre.
(attenzione, alcune scene del video sono piuttosto forti)
La polizia era stata chiamata dalla moglie di Johnson, preoccupata dal fatto che suo marito l’avesse minacciata con una pistola dopo aver bevuto alcool. Alcuni poliziotti sono quindi intervenuti entrando in casa di Johnson. Nei primi secondi del video si vede Muniz salire con molta circospezione le scale interne dell’appartamento. A quel punto Johnson, che si trova al piano di sopra, gli spara due colpi di pistola, uno dei quali all’altezza del petto: Muniz urla e cade dalle scale, ma si riprende quasi subito perché indossa un giubbotto antiproiettile. Nella seconda parte del video si vede una specie di “trattativa” fra Johnson e i poliziotti: l’uomo li prega di sparargli, mentre Muniz urla «hai bisogno di essere aiutato. So che mi hai sparato, ma noi non lo faremo». Il video si conclude quando Johnson alza nuovamente la pistola per sparare verso i poliziotti, pochi secondi prima di essere ucciso.
Negli ultimi mesi molti corpi di polizia americani, fra cui quelli di città importanti come New York e Washington, hanno cominciato a fare indossare ai propri agenti delle telecamere che registrino i loro interventi. Nel dicembre del 2014 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama aveva annunciato un finanziamento di 75 milioni di dollari per l’acquisto di 50mila videocamere da fare indossare agli agenti di polizia in tutto il paese: era stata una delle misure richieste dopo i fatti di Ferguson, la città del Missouri dove il 9 agosto 2014 un agente di polizia uccise il 18enne nero Michael Brown. Una delle più famose misure di questo tipo è stata presa dalla polizia di Seattle, che ha aperto un canale YouTube in cui pubblica regolarmente moltissimi video di interventi e operazioni di polizia.
Iniziative di questo tipo sono state molto lodate da giornali ed esperti di pratiche di polizia, ma hanno ricevuto anche qualche critica: Eugene O’Donnell, un ex poliziotto e procuratore di New York che ora insegna al John Jay College of Criminal Justice, ha spiegato al Washington Post che indossare la telecamera può rendere i poliziotti più “timidi” e meno decisi durante un intervento, per timore di finire coinvolti in un caso controverso. Il Washington Post, per esempio, scrive che l’operazione che ha portato alla morte di Johnson è stata sottoposta a un’inchiesta sia da parte della polizia di Cleveland sia da parte della polizia della contea, e che per tutta la durata dell’inchiesta i poliziotti coinvolti sono stati assegnati a lavori d’ufficio.