A cosa serve una recensione?
Francesco Guglieri racconta la storia del film sulla New York Review of Books e si fa delle domande
Il tema del ruolo della critica letteraria è nato insieme alla critica letteraria, e dei suoi sviluppi, crisi e ricerche di senso si discute intensamente da decenni: ma in particolare le recensioni come formato giornalistico sembrano sempre più accartocciate in un fine unicamente promozionale, per il libro in questione e/o per il recensore. Quest’estate ne aveva scritto su Rivista Studio Francesco Guglieri, raccontando la storia della celebre rivista letteraria New York Review of Books (qualche giorno fa, qui, Luca Sofri, peraltro direttore del Post).
Per buona parte del 1963 i giornali di New York non andarono in edicola a causa di uno sciopero dei giornalisti durato 114 giorni. Non uscivano più giornali ma non per questo non uscivano libri, solo che non c’era nessuno a recensirli: mai nella storia si sarebbe ripetuto un momento più propizio per fondare una rivista di recensioni librarie. A capirlo furono un gruppo di intellettuali e scrittori che gravitavano intorno a Robert Lowell, il poeta, e sua moglie, la scrittrice Elizabeth Hardwick: l’editore A. Whitney Ellsworth e soprattutto Robert B. Silvers e Barbara Epstein. Per quanto il momento fosse propizio, la loro non era certo l’idea per un investimento commerciale (da quando fondare una rivista letteraria, fatta soprattutto di lunghe recensioni poi, è un’idea anche solo vagamente favorevole dal punto di vista economico? No, neanche allora), quanto piuttosto la risposta a un’insoddisfazione per il miserevole stato delle recensioni, della recensione come genere letterario, negli Stati Uniti e in particolare sul New York Times e il suo supplemento domenicale dedicato ai libri. Una manciata di anni prima, nel 1959, la Hardwick aveva pubblicato sull’Harper’s Magazine un pezzo rimasto giustamente famoso, “The Decline of Book Reviewing“, in cui lamentava la pigrizia intellettuale, la scrittura sciatta, l’eccessiva tendenza alla lode, ma soprattutto: l’abissale, devastante noia. «Il torpore della New York Times Book Review è quello che colpisce di più. La lode banale, la critica flebile, lo stile sciatto e gli articoli esili, l’assenza di coinvolgimento e passione, personalità e originalità – la mancanza, infine, di uno stesso tono letterario – hanno fatto del New York Times un giornale di provincia», scriveva la Hardwick.
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– Luca Sofri: Punti critici