Il saluto di Alexander Wang a Balenciaga
La sfilata di Balenciaga di venerdì a Parigi è stata l'ultima con Wang come direttore creativo: il racconto di Robin Givhan sul Washington Post
Alexander Wang ha terminato a Parigi il suo incarico come direttore creativo di Balenciaga correndo sulla passerella – col cellulare in mano – e facendo un selfie del suo ultimo carismatico inchino. In realtà, chiamarlo un semplice inchino sarebbe minimizzare il saluto saltellante – dando pugni all’aria e facendo giravolte – alla leggendaria casa di moda che ha guidato dal 2012.
La scenografia del suo show era ecclesiastica nell’estetica e nelle tonalità, con quattro piscine lunghe e strette che formavano una croce e tagliavano il grande ingresso dello storico Centre Laennec, fondato nel 1800 da studenti di medicina e gesuiti. Con il suo soffitto altissimo e i suoi archi sontuosi, l’edificio richiamava l’atmosfera che accompagnò una presentazione del fondatore della casa, Cristobal Balenciaga.
Usando una gamma di bianco, avorio e crema, Wang ha puntato ad una qualità eterea, angelica, per il suo lavoro. La collezione era un bellissimo sfoggio di sottovesti di raso, con i corpetti delineati da ricami; canottiere di raso lavorate a maglia e decorate con un pizzo che volteggiava intorno al busto come una nebbiolina e pantaloni lunghi che sfioravano le gambe come onde gentili.
Ma la collezione mostrava anche gioia e un’ottimistica inclinazione al futuro. Mentre la colonna sonora si sviluppava, la base pompava: “I’m Going Back to Cali” (California, ndr). Lo stilista, nato e cresciuto a San Francisco, ha trasformato il suo canto del cigno in una esaltazione. Se poteva esserci ancora qualche dubbio che la sua partenza fosse di comune accordo con Kering, proprietaria di Balenciaga, il messaggio dello show lo ha rimosso.
La collezione ha parlato della storia della casa, testimoniando la sua eredità di maestria e artigianato. Tutti i vestiti contemporanei sono stati creati utilizzando le competenze e le risorse di un marchio il cui fondatore impresse il rigore dell’alta sartoria con la devozione ascetica di un monaco. Wang ha abbellito le tasche dei pantaloni cargo color avorio con ricami floreali; ha disegnato il suo stile su ballerine di pizzo che sembravano eleganti pantofole da camera da letto; e le sue modelle – non tutte professioniste – passeggiavano intorno alla passerella sembrando giovani donne che facevano un giro da Starbucks.
Se Wang ha portato qualcosa da Balenciaga durante il suo mandato, questo qualcosa è proprio la comodità maggiore e senza sforzo della sua estetica. Wang ha cominciato da vestiti sportivi senza tante pretese e ha consentito loro di innalzarsi.
Ma Wang ha anche preso da Balenciaga, lasciando che l’eleganza e raffinatezza della casa di moda influenzassero la sua collezione personale, alla quale potrà di nuovo tornare a dedicare tutta la sua attenzione.
Puntare a creare una collezione così dominata dal bianco – o in questo caso, tutta bianca – può portare come risultato a qualcosa di così leggero e chiaro che a momenti suona un pallido ricordo. Wang ha invece offerto una collezione che aveva profondità e dettagli. Aveva vita. Forse è perché Wang tratta i vestiti come una sorta di stuzzichino. Qualcosa a cui concedersi e da consumare. I vestiti possono essere distrutti nello spirito di far durare i ricordi.
Wang non intreccia fantasie dentro un guardaroba tanto quanto dà alle donne vestiti per le loro avventure realistiche, che legge come racconti fantasiosi.
Troppo spesso, i vestiti delle case di moda francesi – venerabili, stimate, sublimi – sembrano intoccabili. Sembrano perfetti sulla passerella, ma anche esclusi ermeticamente dalla realtà.
©The Washington Post 2015