La Germania a 25 anni dalla riunificazione
Il 3 ottobre del 1990 la DDR cessò di esistere e si riunì alla Germania ovest: fu un processo lungo e complicato i cui effetti si vedono ancora oggi
Alla mezzanotte del 3 ottobre 1990 la Repubblica Democratica Tedesca (DDR, la sigla in tedesco) cessò per legge di esistere come stato indipendente ed entrò a far parte della Repubblica Federale di Germania (BRD), la Germania ovest, portando a termine un percorso iniziato meno di un anno prima con la caduta del muro di Berlino. Venticinque anni dopo la Germania di nuovo unita è diventata l’economia più forte d’Europa, oltre che la sua guida politica e – secondo alcuni – anche il suo modello morale. Il processo di riunificazione ha costretto la Germania ad attraversare momenti difficili, alcuni dei quali hanno provocato degli effetti che sono visibili ancora oggi.
La riunificazione della Germania, come ci si arrivò
L’unificazione cominciò nel novembre del 1989 per un errore. Il blocco sovietico, di cui la Germania orientale faceva parte, scricchiolava e in molte parti dell’Europa comunista si organizzavano manifestazioni per chiedere più diritti e libertà. I leader comunisti tedeschi decisero che il modo migliore di gestire gli eventi senza finirne travolti era quello di concedere gradualmente più libertà personali, come la libertà di movimento. Günter Schabowski, il portavoce del governo incaricato di comunicare in una conferenza stampa le novità, fu messo sotto pressione dai giornalisti e si lasciò sfuggire una frase che non aveva concordato con i suoi colleghi: disse che da quel momento il confine tra le due Germanie poteva essere liberamente attraversato.
In poche ore migliaia di persone si affollarono ai due lati del muro di Berlino. Gli ordini delle guardie di frontiera non erano però diversi dal solito: fermare, anche con l’uso delle armi, chiunque tentasse l’attraversamento. La folla dal lato orientale, inizialmente spaventata, per alcune ore non tentò di attraversare il confine, poi però cominciò a fare sempre più pressione. Le guardie furono costrette a scegliere se cominciare a sparare sulla folla o aprire i confini: scelsero la seconda opzione. A quel punto le cose si mossero molto rapidamente. Due settimane dopo Helmut Kohl, cancelliere della Germania ovest, propose un programma di integrazione che avrebbe portato alla riunificazione delle due Germanie. Nel marzo in Germania orientale si svolsero le prime elezioni libere nella storia del paese e il Partito dei Socialisti Democratici, l’erede dei comunisti che avevano governato per più di quarant’anni, fu sconfitto da una coalizione guidata dai Cristiano Democratici. Il programma di unificazione accelerò e sei mesi dopo la Germania era di nuovo unita.
La riunificazione vista da est e da ovest
Lucian Kim, un giornalista che all’epoca studiava a Trier, nella Germania occidentale, ha raccontato su Reuters che la notte del 3 ottobre per le strade non c’era molta più gente di quanta se ne sarebbe potuta incontrare in un normale sabato sera. Per i tedeschi dell’est la riunificazione avrebbe portato libertà e accesso a un mondo che fino ad allora avevano potuto vedere soltanto al di là di un muro sormontato dal filo spinato. Per gli occidentali le incertezze superavano di gran lunga i motivi di gioia. I “wessi”, come venivano chiamati i cittadini della Germania occidentale, avevano paura di cosa avrebbe significato aprire le frontiere a milioni di “ossi”, più poveri e meno educati. Non solo: portare la Germania orientale al livello di una democrazia occidentale sarebbe costato molto e questo avrebbe significato meno denaro per tutti.
Anche ad est l’unificazione non fu indolore. Lothar de Maizière, primo ed ultimo primo ministro della Germania orientale liberamente eletto, ha raccontato al New York Times quale fu l’esperienza dell’est dal suo punto di vista: «Nel giro di una notte fummo catapultati dentro una delle economie più forti del mondo. Ci fu risparmiata la lunga attesa che toccò a polacchi e cechi, ma fu un incredibile shock per l’economia della Germania orientale. La disoccupazione era quattro volte quella dell’ovest. I tedeschi orientali furono costretti a emigrare dal loro paese senza averlo mai lasciato». La rapidità dell’unificazione fu un trauma per l’economia della Germania est che era basata su un sistema socialista. In poco tempo tutte le aziende di proprietà dello stato furono privatizzate, spesso senza badare molto a come quella privatizzazione avveniva.
Anche il problema dell’integrazione tra due monete diverse fu risolto piuttosto sbrigativamente. Jörg Krämer, che lavora come economista alla banca tedesca Commerzbank, è un’altra delle sei persone a cui il New York Times ha chiesto di raccontare la propria esperienza dell’unificazione: «Avevo la sensazione che ci sarebbe stato un grande boom economico, un boom da riunificazione. Poi arrivò la decisione di scambiare il marco occidentale con un valore di uno ad uno. Ero uno studente all’epoca, ma capii che era un grosso errore. In un colpo solo tutte le imprese dell’est furono consegnante a quelle dell’ovest. Era chiaro che l’economia dell’est sarebbe collassata». Come ha raccontato Kim, la riunificazione non fu organizzata per ragioni economiche. Fu una decisione basata sulle «emozioni» generate dal desiderio di Kohl e degli uomini della sua generazione di «rammendare le ferite causate dalla Seconda guerra mondiale».
La Germania oggi, e il problema dei migranti
Per quanto frettolosa ed emotiva, la riunificazione della Germania è stata comunque un successo. Esistono ancora differenze tra est ed ovest, ma sono meno ampie di quanto furono dieci o quindici anni fa. Secondo Kim, sono rimasti grossi problemi nel tessuto sociale tedesco. La tragedia del volo Germanwings e lo scandalo Volkswagen hanno intaccato l’idea alimentata dagli stessi tedeschi che l’Ordnung, l’ordine, sia il valore fondamentale della nazione, mentre un nuovo nazionalismo, rappresentato dai movimenti xenofobi come PEGIDA, sembra mettere in dubbio gli ideali di tolleranza e accoglienza che hanno sempre caratterizzato la nuova Germania. La grande divisione di oggi sembra essere tra coloro che hanno accettato la globalizzazione e quelli che preferiscono rifugiarsi nel nazionalismo. «È ironico – scrive Kim – come l’arrivo dei rifugiati dall’est portò all’unificazione della Germania e ora l’arrivo di una nuova ondata di rifugiati rischi di dividere ancora una volta il paese».
Per certi versi, però, la Germania sembra poter trovare delle soluzioni anche per la crisi dei migranti. Secondo Kim la decisione di Angela Merkel di accogliere tutti i rifugiati siriani è una mossa dettata dall’emotività, come quella di Kohl 25 anni fa. I tedeschi, almeno finora, sembrano approvarla: nonostante i sondaggi mostrino come il 70 per cento di tedeschi ritenga che accogliere i rifugiati porterà più danni che benefici, la stessa percentuale sostiene anche che oggi questa sia l’unica scelta moralmente accettabile. Da lontano, conclude Kim, la Germania sembra ancora un modello di stabilità e ordine, una guida politica per l’Europa e un paese in grado di intraprendere scelte coraggiose, ma «la storia dell’ultimo secolo ci ha insegnato quanto le apparenze possano essere ingannevoli».