Milano va meglio, dicono tutti
Business of Fashion ha raccolto un po' di pareri concordi sul fatto che la nuova gestione e il ricambio degli stilisti abbiano restituito importanza alle sfilate milanesi
di Enrico Matzeu – @enricomatzeu
La Settimana della Moda di Milano si è conclusa lunedì 28 settembre e a Parigi è già iniziata la Semaine de la Mode, in programma quest’anno dal 29 settembre al 7 ottobre. Intanto, il sito Business of Fashion ha fatto un bilancio sulle sfilate milanesi, chiedendosi se la settimana della moda milanese sia tornata ad essere competitiva con le altre maggiori del mondo e se stia veramente vivendo un momento nuovo, come molti hanno scritto sui giornali nei giorni scorsi. Negli ultimi anni, infatti, la moda italiana (soprattutto le maison storiche) era accusata dai critici di non essere più abbastanza creativa, mentre nelle altre città come New York, Londra e Parigi, veniva dato più spazio a nuove idee e a nuovi designer.
Per anni, alla città è mancato quel tipo di giovane design che fioriva a New York e Londra. E intanto le grandi aziende del lusso che sfilavano a Milano si mostravano creativamente conservatrici – alcuni direbbero stagnanti – rispetto alle loro controparti in altre capitali della moda, affidandosi alla potenza commerciale dei loro brand per attirare attenzioni a ogni stagione.
Negli ultimi tempi, però, molti nuovi stilisti hanno cominciato a sfilare a Milano e ad avere successo, scrive BoF, chiedendo pareri a diversi addetti ai lavori che fanno i nomi di Marco De Vincenzo, Damir Doma, Stella Jean e Massimo Giorgetti. Business of Fashion dice che il merito di questo cambiamento va anche all’arrivo di Carlo Capasa, il nuovo presidente della Camera Nazionale della Moda, a Expo Milano 2015 e alla nascita in città di nuovi spazi legati alla moda come la Fondazione Prada e Armani Silos.
Per argomentare sul cambiamento in corso, in molti citano la sfilata di Gucci disegnata da Alessandro Michele. Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, dice che mettere uno stilista sconosciuto come Michele alla guida di Gucci, in un momento in cui tutti vogliono un nome famoso, è stato un rischio, che però ha spinto anche altri a rischiare. Capasa usa il caso Gucci come esempio per dire che: «quando siamo capaci di mettere assieme retaggio culturale e innovazione, abbiamo un’occasione molto buona per essere unici e avere successo». Secondo la direttrice di Vogue Cina, Angelica Cheung, il successo di Michele «non è tanto per il design degli abiti, quanto per la sua capacità di guardarsi attorno e capire cosa vogliono le persone». In sostanza Alessandro Michele è riuscito a fare un lavoro di ricerca nuovo che è piaciuto molto.
Vanessa Friedman del New York Times fa invece una riflessione sul fatto che alle sfilate di Milano non ci siano stati molti personaggi famosi come è successo ad esempio a New York e a Milano nelle scorse stagioni, e dice che questo «ha reso gli abiti più importanti, che non è una cattiva cosa, e ci ricorda che è proprio quello in cui consisterebbe la settimana della moda: non il numero di celebrities che puoi avere in prima fila». Per quanto riguarda la creatività, la Friedman ha dato il merito anche ai nomi storici della moda italiana, dicendo che ad esempio Donatella Versace ha fatto la miglior collezione da tante stagioni.
Daria Shapovalova, che dirige i Mercedes-Benz Kiev Fashion Days, ovvero la settimana della moda ucraina dedicata agli emergenti, dice che a Milano non ci sono molti giovani designer, ma che il fatto che Massimo Giorgetti abbia debuttato da Emilio Pucci e Peter Dundas da Roberto Cavalli ha dato nuovo interesse alla settimana milanese, visto che solitamente le sfilate più attese erano solo Prada, Dolce&Gabbana e Giorgio Armani. Jessica Michault, direttrice di Nowfashion, fa notare invece che la vera novità è che ci sono molti giovani designer italiani alla guida di case di moda italiane e che molti di loro hanno anche un proprio brand, come Marco De Vincenzo, Gabriele Colangelo e lo stesso Giorgetti, che è proprietario di MSGM.
Al giornalista Angelo Flaccavento, invece, sono piaciute le sfilate di Marni, Prada, Marco De Vincenzo, MSGM e Damir Doma, e secondo lui in Italia non c’è ancora molto turnover, però ora «c’è una classe dirigente nuova, fatta di voci individuali, di cui sta beneficiando l’intero sistema». Anche per Simone Marchetti di Repubblica il problema non è la creatività ma il sistema che sta cominciando a funzionare anche grazie al lavoro fatto da Carlo Capasa, che «è stato capace di mettere il sistema finanziario dentro al sistema moda, il che significa che ora stanno dando soldi e merito ai giovani designer».