Il business dei libri di scuola
L'editoria scolastica è un quarto del mercato dei libri in Italia, ma funziona in modi del tutto diversi da quella che si rivolge alle librerie
L’editoria scolastica vale un quarto del mercato editoriale italiano. In termini di fatturato significa circa 600 milioni di euro annuo contro i quasi 3 del mercato editoriale complessivo (il 2014 registrerà un fatturato lievemente minore del 2013, l’ultimo ufficiale che fu di 2,6 miliardi di euro). È una grande industria che ha caratteristiche e problemi specifici, ma che rimangono sconosciuti perché nessuno, a partire da autori ed editori scolastici, ha molto interesse a raccontarla. Mentre nel resto del business dei libri i successi si annunciano ed esagerano nella speranza di creare un effetto emulazione, nel mondo dei libri scolastici – dove le vendite sono dettate da meccanismi diversi – prevale il pudore. L’idea che fare libri per gli studenti sia un’attività a scopo di lucro a molti non piace, anche perché suona in conflitto con l’articolo 34 della Costituzione, quello che dice: «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso». Tra i mezzi con cui si intende rendere effettivo il diritto, i libri di testo non sono citati.
Il mercato è enorme, ma non ha potenziali di crescite maggiori perché il numero degli studenti rimane sostanzialmente stabile. A settembre – dice il ministero dell’Istruzione – nelle scuole italiane, materne escluse, si sono iscritti 6.861.718 di studenti divisi in 326.599 classi gestite da 817.291 docenti. Arrotondando significa quasi 7 milioni e mezzo di lettori potenziali, che formano l’unica categoria di lettori al mondo obbligata ad acquistare i libri, più ancora che a studiarli. Nel 2013 il ministero ha abbassato del 10 per cento il tetto massimo di spesa per ogni tipo di classe, e anche se in alcune scuole viene superato, i prezzi sono rimasti stabili da allora. Così si va dai 117 euro annui per alunno della seconda media ai 382 del terzo anno del liceo classico (qui vedete i tetti di spesa per ogni classe). Sono cifre consistenti, ma anche quasi sempre inferiori al costo di un caffè al giorno. Altre novità sono arrivate nel 2014 con l’abolizione dell’obbligo di adottare libri di carta (ma pochissimi insegnanti hanno rinunciato a farlo), la fine del blocco di cinque anni per le nuove edizioni (che infatti sono state subito pubblicate) e l’obbligo di affiancare a ogni libro anche un’edizione digitale. Per gli editori è un grosso investimento – Zanichelli nel 2014 ha investito sul digitale 5 milioni di euro –, che al momento rimane solo un costo: non influisce sui tetti di prezzi consentiti, e la percentuale degli studenti che effettivamente scarica la versione digitale è ancora sotto il 5 per cento.
La “scolastica” produce bestseller clamorosi di cui nessuno si accorge. La metà degli studenti delle superiori, per esempio, studia matematica sul Bergamini-Barozzi di Zanichelli: il che significa circa 200 mila ragazzi per anno, un milione considerando che gli anni vanno moltiplicati per cinque. Nessuno altro autore in Italia – a parte forse il Papa, che però è vaticano – può sognarsi numeri del genere. Altri grandi bestseller della scolastica sono l’Amaldi di fisica, sempre di Zanichelli, o l’Abbagnano di Filosofia di Pearson: il successo dipende anche da quanto le varie materie sono insegnate. I diritti d’autore sono comparabili a quelli dell’editoria normale, quindi dal 7-8 per cento fino al 14-15.
I primi cinque editori si dividono il 71 per cento del mercato (in altri paesi come Francia e Spagna, la concentrazione è anche superiore). La loro classifica per fatturato è questa:
1. Zanichelli (appartiene alla famiglia Enriques. Possiede Loescher, D’Anna, oltre ai dizionari Zingarelli, Ragazzini, Boch. La sede è a Bologna).
2. Pearson (è l’editore più grande del mondo, anche dopo avere venduto Economist e Financial Times. In Italia comprende Paravia, Bruno Mondadori, Linx, Archimede, Elmedi, i Pinguini. La sede è a Milano)
3. Mondadori (dichiara di avere il 13 per cento dell’editoria scolastica. Oltre alle varie linee scolastiche di Mondadori, possiede Einaudi e Piemme scuola, LeMonnier, Signorelli, e, Juvenilia, Minerva)
4. Rcs (Bompiani per la scuola, Fabbri, Edizioni il Quadrifoglio, Calderini, Etas, Edagricole scolastico e aula Digitale)
5. De Agostini Scuola (Garzanti scuola e linguistica, Cedam, Marietti, Cideb, Ghisetti&Corvi, Theorema, Petrini, Valmartini e Black Cat che fa libri in lingua originale)
Al sesto e settimo posto, i primi editori che non sono grandi gruppi: Hoepli di Milano, antica casa editrice specializzata in manuali tecnici che ha un bestseller di informatica Corso di Informatica CLIPPY, la “Collana Biennio”, e Sei, dei salesiani. Seguono, in ordine sparso, Giunti, per le medie, Atlas di Bergamo, il Capitello e Lattes di Torino, Palumbo di Palermo, il Gruppo La Scuola di Brescia e Principato di Milano.
Nel suo libro Il libro Gian Arturo Ferrari – oggi vicepresidente di Mondadori Libri – sostiene che l’editoria scolastica è l’altra faccia della luna del libro. Editoria scolastica e generalista sono due attività distinte, se non contrapposte: la generalista è marketing oriented, cioè deve indurre bisogni (nessuno ha bisogno di leggere un giallo svedese, bisogna fargli venire voglia di farlo), mentre l’editoria scolastica deve soddisfare bisogni che esistono. Questa differenza di prospettiva ribalta completamente il modo di fare promozione. I libri di testo non hanno bisogno di pubblicità o di recensioni. Hanno bisogno che gli editori costruiscano un rapporto quanto più possibile capillare con le scuole, e con i professori che li adotteranno, che sono molto numerosi. Non tutti gli 800 mila professori della scuola italiana sentono l’esigenza di cambiare libro di testo, ma ognuno può decidere di farlo, e quindi ognuno è un potenziale cliente. Non esiste un decisore unico centralizzato, come per esempio accade in alcuni stati degli Stati Uniti: in venti, come Texas, Alabama e la Virginia, l’adozione è di Stato. In Italia questa libertà di insegnamento comporta un alto costo commerciale.
Per dare un’idea del peso del cosiddetto reparto commerciale: su 240 persone assunte in totale da Zanichelli – l’unico editore scolastico che abbia una rete interna – quelle che si occupano di promuovere i libri presso i professori sono un centinaio, a fronte di solo quaranta “editoriali”, e gli altri cento sono nei servizi, magazzini o amministrazione. Hoepli, che pubblica una quarantina di novità all’anno, ha circa centocinquanta «propagandisti» pagati a provvigione – tre per ogni libro nuovo – per portare i libri ai docenti e riportare all’editore le loro esigenze. L’editoria scolastica è forse l’unica attività commerciale al mondo che si rivolge a destinatari di fatto irraggiungibili (gli studenti) e che dipende dagli intermediari (i professori) non solo per vendere i suoi libri, ma anche per sapere come migliorarli. Invece dei costi pubblicitari degli editori normali, la scolastica spende per i “saggi” da dare ai professori per convincerli ad adottare il libro, circa il 10 per cento di copie stampate. Gli intermediari tra l’altro non vengono retribuiti (né, risulta, compensati in forme torbide o occulte come nel simile mercato dei medici e medicinali). Il vantaggio non da poco è che questo permette di conoscere esattamente il numero di copie da stampare e i luoghi in cui distribuirle, e quindi non avere rese e nemmeno macero, che sono tra i costi e le complicazioni dell’editoria da libreria. I costi industriali dei libri scolastici sono però molto maggiori rispetto ai libri normali, essendo molto più articolati: il formato è più grande, la carta più spessa, l’impaginazione complessa, le rilegature più resistenti e la stampa è a quattro colori. I libri di testo sono poi sempre il risultato di un lavoro di gruppo.
L’accusa più comune che si rivolge alla scolastica è di inventare ogni anno inutili nuove edizioni, per rendere impossibile la rivendita dei libri usati. In genere c’è un’edizione ogni cinque anni, ma possono aumentare a causa di altri fattori, come una riforma della scuola che stabilisce nuovi programmi o dell’esame di Stato. Gli editori si difendono anche dicendo che i libri di scuola non possono essere immobili, perché intorno alla scuola cambia tutto – le materie, le tecnologie, il linguaggio e i gusti di studenti e professori – come se la scuola fosse un grande animale in movimento che i libri possono solo inseguire. La fine del blocco delle edizioni ogni cinque-sei anni deciso dal ministero nell’aprile 2014 ha sicuramente prodotto nuove edizioni, ma il mercato dell’usato pesa comunque per il 40 per cento del totale: cioè è un ulteriore settore editoriale, ancora più sconosciuto della scolastica, e anch’esso assai consistente.