Gli indipendentisti hanno vinto in Catalogna
Ma è una vittoria complicata da gestire: le due liste secessioniste non sono alleate e hanno la maggioranza assoluta dei seggi ma non dei consensi
I due partiti favorevoli all’indipendenza della Catalogna hanno vinto le elezioni di domenica 27 settembre per il parlamento regionale, ottenendo insieme il 47,8 per cento dei voti, corrispondente a 72 seggi su 135, quattro in più della maggioranza (lo scrutinio è arrivato al 99,67 per cento). I due partiti devono ancora trovare un accordo per allearsi e comunque, insieme, non hanno superato il 50 per cento dei voti. El Paìs scrive quindi che gli indipendentisti devono «ora fare i conti con la mancanza di una maggioranza popolare chiara» e che il risultato «sarà difficile da gestire sia per i vincitori» ma anche per il governo» di Mariano Rajoy, contrario all’indipendentismo.
La coalizione degli indipendentisti “Junts pel sì” (“Uniti per il sì”) raggruppa forze favorevoli a una scissione della regione dalla Spagna: la principale è rappresentata dal partito del presidente uscente Artur Mas. “Junts pel sì” ha ottenuto il 39,6 per cento (62 seggi). “Candidatura d’unitat popular” (CUP), partito separatista di sinistra e anti-capitalista ha ottenuto l’8,2 per cento (10 seggi). I contrari all’indipendentismo tutti insieme (ognuno con la propria posizione) sono arrivati invece a 63 seggi e il partito più votato risulta essere Ciutadans, la versione “catalana” di Ciudadanos, un partito nazionale nato in Catalogna nel 2006, che non si dichiara né di destra né di sinistra ma post-nazionalista e progressista. Seguono i socialisti del PSC (12,7 per cento dei voti, 16 seggi), la lista “Catalunya sì que es pot”, di cui fa parte Podemos insieme a Izquierda Unida e ai Verdi (che sono – in sintesi – a favore di un aumento dell’autonomia della Catalogna, ma non della sua indipendenza totale dalla Spagna e che sono arrivati all’8,9 per cento, 11 seggi), i conservatori del PP (8,9 per cento, 11 seggi).
Le cose interessanti dei risultati di queste ultime elezioni sono due. La prima ha a che fare con l’affluenza, che ha superato il 77 per cento e che è di 10 punti più alta rispetto alle ultime elezioni regionali del 2012: anche per questa «partecipazione straordinaria», scrive nel suo editoriale di oggi El Paìs, «nessuno può ignorare il risultato. Tutti, compreso il governo, devono reagire. Le elezioni in Catalogna sono state estremamente significativi. Nonostante la confusione sulla natura della chiamata, referendum o elezioni, (…) e nonostante la scarsa qualità del dibattito».
La seconda riguarda il numero di voti raccolto dai vincitori, che è meno della maggioranza assoluta degli elettori. Dopo la diffusione dei risultati Artur Mas ha detto che «ha vinto il “sì”, ma anche la democrazia: ora abbiamo un’enorme legittimità per andare avanti con il nostro progetto». Il capolista di “Candidatura d’unitat popular” a Barcellona, Antonio Baños, ha invece sempre detto che sarebbe stato necessario «almeno il 50 per cento dei voti, perché queste elezioni diventassero un referendum» sull’indipendenza. Cosa che non è avvenuta. Sempre El Paìs, nell’editoriale di oggi: «È chiaro che la cittadinanza catalana si è mostrata gravemente spaccata in due blocchi, di diversa ma simile dimensione. Gli organizzatori hanno cercato un plebiscito ma i secessionisti hanno chiaramente perso la partita. Si tratta di un fattore chiave, soprattutto in ambito internazionale».
Quelle di domenica 27 erano elezioni anticipate, volute dall’attuale presidente Artur Mas dopo che non era riuscito – bloccato da una sentenza – a indire un referendum sull’indipendenza della regione, come aveva promesso prima della sua vittoria nel 2012. Di fatto le elezioni sono state una specie di consultazione indiretta sull’indipendenza.
La Catalogna è una regione nordorientale della Spagna di quasi otto milioni di abitanti (circa il 19 per cento della popolazione del paese, che produce il 19 per cento del suo PIL): ha come capitale Barcellona e possiede una propria fortissima identità culturale e storica, a cominciare dalla lingua, il catalano. Dispone già di un proprio parlamento nell’ambito di un complesso sistema di autonomie, che da tempo lavora allo svolgimento di un referendum consultivo sull’indipendenza.
Il parlamento catalano aveva annunciato il referendum alla fine del 2013 basandolo su una dichiarazione di sovranità approvata un anno prima, che però la Corte Costituzionale aveva in seguito dichiarato illegittima. Nel novembre del 2014 si era svolto un referendum “informale” e circa l’80 per cento dei votanti si era espresso a favore dell’indipendenza dal governo della Spagna. Gli organizzatori della consultazione avevano detto che avevano partecipato circa due milioni di persone, con un’affluenza stimata al 35,9 per cento. La consultazione non aveva avuto comunque alcun valore legale, Mas aveva cominciato a perdere sostegno al Parlamento e il dialogo a livello istituzionale con il partito del premier Mariano Rajoy non aveva portato ad alcuna proposta o accordo per una soluzione politica della crisi. Mas aveva dunque deciso di anticipare le elezioni e di cercare una nuova legittimità al suo progetto.