Dopo la strage alla Mecca
Diversi paesi chiedono alla famiglia reale saudita di fare chiarezza sull'incidente in cui sono morte più di 700 persone, e su altri episodi simili capitati di recente
Il Grand Muftì dell’Arabia Saudita, la più alta carica religiosa del paese, ha detto sabato che la strage della Mecca di giovedì scorso – nella quale 769 persone sono morte schiacciate dalla folla durante un pellegrinaggio religioso – è stato un evento «incontrollabile per gli esseri umani». Secondo il Grand Muftì, il ministro dell’Interno saudita, l’erede al trono Mohammed bin Nayef, non ha alcuna responsabilità nell’accaduto: non è una dichiarazione sorprendente, visto che il Gran Muftì è nominato dal re e in Arabia Saudita vige una stretta ma complicata alleanza tra il clero e la monarchia. Negli ultimi due giorni, comunque, la famiglia reale saudita è stata molto criticata per il modo in cui gestisce i siti più sacri dell’Islam e diversi commentatori hanno legato quello che è accaduto alle sue divisioni e lotte di potere interne.
La strage di giovedì è arrivata meno di due settimane dopo un altro grave incidente. Lo scorso 12 settembre una gru è crollata sulla Grande Moschea della Mecca, uccidendo 107 persone e ferendone più di duecento. Sono gli ultimi due di una lunga serie di incidenti accaduti a La Mecca e a Medina, due luoghi in Arabia Saudita considerati di grande importanza per l’Islam. Le critiche più dure sono arrivate subito dopo la strage di giovedì: l’Ayatollah Alì Khamenei, Guida Suprema dell’Iran – il principale rivale regionale dell’Arabia Saudita – ha denunciato l’incompetenza e l’inadeguatezza della gestione dei sauditi. Le stesse accuse sono state fatte anche dai giornali del regime siriano, che l’Arabia Saudita sta cercando di far cadere.
Ma non sono soltanto i tradizionali nemici dell’Arabia Saudita a criticare gli ultimi incidenti. Il leader della delegazione nigeriana alla Mecca, Sanusi Lamido Sanusi, ha detto che le circostanze dell’incidente «devono essere indagate con maggior attenzione». Secondo BBC sono diversi i paesi arabi che più o meno privatamente hanno chiesto al governo saudita di condurre un’indagine seria e approfondita su quello che è successo. Re Salman, incoronato lo scorso gennaio, è apparso in televisione poche ore dopo la strage promettendo di rivedere tutti i meccanismi con i quali viene gestito il pellegrinaggio e un’indagine completa per individuare i possibili responsabili.
Secondo diversi commentatori, il governo saudita si sta comportando in modo più trasparente rispetto ai suoi soliti standard, ma è comunque molto improbabile che un’eventuale inchiesta coinvolga personaggi vicini alla famiglia reale e all’élite che governa il paese. L’Arabia Saudita è una monarchia assoluta dominata dalla numerosa famiglia al Saud e da pochi altri clan alleati. La monarchia è strettamente alleata con il clero wahabita, una forma particolarmente intransigente di Islam, che controlla quasi completamente l’istruzione e il sistema giudiziario sauditi. Negli ultimi anni ci sono stati alcuni scontri tra la famiglia reale e il clero che hanno eroso il potere dei religiosi.
Secondo molti analisti, l’attuale re dell’Arabia Saudita non è del tutto in grado di intendere e di volere e il potere sarebbe di fatto esercitato dall’erede al trono e ministro dell’Interno, Mohammed bin Nayef, e dal figlio preferito di Salman, il “più giovane ministro della difesa del mondo”, il ventottenne (o ventinovenne: non è chiaro quando sia nato esattamente) Mohammed bin Salman, uno dei principali fautori della guerra in Yemen. Gli incidenti di questi giorni hanno messo sotto pressione questa “fazione” della famiglia reale che si trova in difficoltà a causa di parecchie altre crisi concomitanti. Lo Stato Islamico (o ISIS), gruppo sunnita, ha compiuto diversi attacchi nell’area del paese dove vive la numerosa minoranza di religione sciita. Il regime siriano ha da poco ricevuto aiuti militari russi e non sembra sul punto di cadere. Le operazioni in Yemen contro i ribelli sciiti si trascinano da mesi senza produrre molti risultati. Infine, il prezzo del petrolio, sostanzialmente l’unica risorsa del paese, continua a restare molto basso.
Secondo Bill Law, un giornalista inglese esperto di Arabia Saudita, gli incidenti di questi giorni insieme alle molte crisi che hanno colpito il paese sono come benzina sul fuoco delle rivalità interne alla famiglia al Saud. Pochi giorni prima dell’incidente, ad esempio, un account su Twitter famoso per pubblicare dettagli imbarazzanti sulla famiglia reale ha fatto un appello in cui chiedeva alla famiglia reale di intervenire per rimuovere dal potere re Salman, l’erede al trono e il ministro della Difesa. «Con un re pazzo, una giovane testa calda alla guida di una guerra di cui non si vede una fine», scrive Law, «e una famiglia reale profondamente divisa, la casa di Saud non è mai stata così in pericolo».