L’Iran e la moda, finora
Con la fine delle sanzioni potrebbe aprirsi un mercato molto esteso e soprattutto già pronto all'attrattiva dei brand occidentali
Fino a oggi l’Iran è stato un mercato inaccessibile per le aziende occidentali, a causa delle sanzioni imposte fin dagli anni ’80 dagli Stati Uniti contro il supporto al terrorismo internazionale, e poi dagli anni 2000 anche dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea, in risposta allo sviluppo del programma nucleare iraniano. Il 14 luglio però l’Iran e i paesi del cosiddetto “5+1”, cioè i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con potere di veto (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina) più la Germania, hanno raggiunto a Vienna uno storico accordo sul nucleare iraniano, che prevede l’eliminazione progressiva delle sanzioni internazionali, in cambio di una limitazione del programma nucleare e di alcune garanzie. L’Iran potrà ricominciare a commerciare il petrolio e altri beni, e, con i suoi 77 milioni di abitanti, diventare un potenziale nuovo mercato anche per le aziende di moda.
Un articolo di BBC spiega che le sanzioni al momento proibiscono quasi tutti i commerci con l’Iran, ad eccezione di attività come l’esportazione di equipaggiamenti medici e agricoli, l’assistenza umanitaria e il commercio di materiali educativi, come film. C’è anche il divieto di qualsiasi transazione con banche e istituzioni finanziarie, che rende complicato per le aziende pensare di trasferire in Iran parte dei loro affari, qualora lo volessero. Le sanzioni economiche e finanziarie saranno eliminate in tempi brevi, ma bisognerà aspettare ancora per avere più chiarezza sulle prospettive future. Intanto, quello che è certo è da una parte il potenziale dell’Iran per i paesi stranieri e dall’altra l’interesse potenziale dell’Iran stesso nel campo della moda.
In un lungo articolo su Business Of Fashion, Robb Young spiega che in Iran le marche occidentali arrivano tramite due strade: o il mercato nero, o quello che viene indicato come “mercato grigio”, cioè il flusso di beni tramite canali di distribuzione diversi da quelli autorizzati, ma non per questo illegali: come la re-importazione di prodotti che hanno come prima destinazione paesi terzi, come la Turchia, Dubai o altri stati del Golfo Persico. In questo modo articoli (autentici) di case di moda internazionali aggirano le sanzioni e arrivano ai consumatori iraniani.
Questo meccanismo fa sì che i prezzi siano più alti rispetto ai paesi vicini, ma al momento è un aspetto che sembra non aver scoraggiato gli acquisti. Negli ultimi anni sono stati costruiti moltissimi centri commerciali – che stanno rimpiazzando i tradizionali bazar – e all’interno dei loro negozi si trovano sempre più spesso nomi di marche occidentali, senza che i negozi che le propongono in vetrina abbiano alcuna relazione con i produttori e distributori del brand.
Business Of Fashion spiega anche che nelle grandi città iraniane è possibile imbattersi per strada in grandi cartelloni pubblicitari di aziende come Louis Vuitton o Chopard: probabilmente dei falsi o delle copie introdotte di nascosto dai paesi vicini, sempre senza che tali case di moda abbiano affari in Iran. Araz Fazaeli, un imprenditore iraniano che vive a Parigi e ha dato il nome alla sua marca di abbigliamento, lanciata dopo il successo del suo blog The Tehran Times, ha spiegato che a volte i cartelloni pubblicitari vengono procurati dai rivenditori che vendono articoli di quella marca – spesso contraffatti o scarti di magazzino – per poterci mettere accanto il nome del proprio negozio.
Sempre Fazaeli ha raccontato a Businees of Fashion che in Iran si cerca di introdurre illegalmente anche numeri delle riviste Vogue o GQ, perché il controllo della censura sui media è sempre attivo e lo è in special modo su quelli recanti immagini contrarie alle regole religiose, o politiche (o entrambe). Secondo un rapporto di Global Voices Advocacy, un network di blogger e attivisti online, gli account Instagram di Burberry e Gucci sono bloccati, come anche il sito di Vogue, e su quelli non bloccati agisce comunque un “filtro intelligente”.
Finora le uniche aziende ad esser riuscite ad aggirare gli ostacoli burocratici e aprire delle filiali in Iran sono Mango, Benetton ed Escada.
In ogni caso, come in molti sanno, l’Iran è oggi un paese molto più permissivo di quanto lo fosse anni fa e di molti altri paesi musulmani, ancora di più da quando nel 2013 è stato eletto presidente il moderato Hassan Rouhani. I cittadini della classe media sono giovani istruiti e attenti alle tendenze occidentali; molti di loro viaggiano e fanno shopping all’estero, a Istanbul o a Dubai. È comune vedere donne indossare vestiti colorati e abbinati, con copricapo sempre più morbidi e uno stile molto “occidentalizzato”.
Nel 2014 è stata organizzata per la prima volta una settimana della moda di Teheran, riproposta questo giugno, anche se gli uomini non potevano assistere alla maggior parte delle sfilate femminili e queste dovevano essere attenersi a linee guida di sobrietà. Sempre l’anno scorso aveva fatto notizia in tutto il mondo l’account Instagram di The Rich Kids of Tehran, che condivideva sul social network foto della vita lussuosa di giovani ricchi di Teheran, ben diversa dall’immaginario comune in Occidente.
Tutti questi sono sintomi di un interesse per la moda che fa dell’Iran un potenziale mercato interessante per le aziende straniere, a cui si aggiungono le caratteristiche economiche del paese. L’Iran ha continuato ad arricchirsi negli anni esportando petrolio con i paesi esclusi dalle sanzioni, come la Cina, e, nonostante le difficoltà causate dalle sanzioni negli anni, è comunque la seconda economia più grande dell’area “Mena” (Medio Oriente e Nord Africa) dopo l’Arabia Saudita, e la seconda nazione più popolata.
Secondo un’analisi di Frontier Strategy Group, che offre consulenza alle aziende sui mercati emergenti, bisognerà aspettare fino all’anno prossimo per sondare l’eventuale apertura delle barriere economiche iraniane, quando ci sarà più chiarezza da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite) sul rispetto del patto nucleare da parte dell’Iran.