Come passano le giornate a Tovarnik
È un piccolo paese croato al centro della rotta che porta migliaia di migranti in Europa
di Luca Misculin ed Elena Zacchetti
Fino a pochi giorni fa Tovarnik, un piccolo paese croato di poco più di 3mila abitanti, era uno dei posti più frequentati e citati dai giornalisti di tutto il mondo interessati alle storie dei migranti. A Tovarnik era stato messo in piedi un campo che accoglieva le persone che arrivavano dal confine con la Serbia a piedi o con i bus organizzati dalle autorità serbe. Il posto più fotografato era la stazione cittadina, da dove partivano i treni diretti a Zagabria, la capitale della Croazia, con a bordo centinaia di migranti, soprattutto siriani. Quando i migranti sono diventati troppi, sono stati spostati in un altro campo più grande e apparentemente più organizzato, a circa venti minuti di macchina. Dell’affollamento e del caos di quei giorni oggi è rimasto poco: oggi alla stazione di Tovarnik – paese circondato dai campi di grano – c’è un silenzio quasi totale. Almeno fino all’arrivo improvviso di decine di poliziotti croati e di centinaia di migranti, che ricorda che oggi quel posto è ancora tutto fuorché “normale”.
Tra la partenza di un treno e l’altro – negli ultimi giorni si parla di due-tre treni al giorno, con circa dieci carrozze ciascuno – la stazione di Tovarnik si svuota completamente: non ci sono né migranti né poliziotti. Nell’edificio principale della stazione, costruito a due piani a torretta, ci solo due persone, tra cui un capotreno che da giorni assiste a quello che succede. L’uomo, di circa cinquant’anni con un inglese “che si fa capire”, ha raccontato al Post di aver imparato approssimativamente a distinguere la provenienza dei migranti che vengono portati in stazione dal campo di Opatovac, raggiunto da moltissime persone provenienti dal territorio serbo. I siriani, che spesso viaggiano in famiglia con bambini anche molto piccoli, sono «più civilizzati» rispetto per esempio a iracheni e afghani, dice il capotreno. L’uomo ci racconta anche che fino a qualche giorno fa la stazione era piena di rifiuti, di cui ancora oggi – nonostante la generale pulizia – si sente un odore piuttosto intenso.
A pochi metri dell’edificio principale della stazione ci sono molti altri segni del caos dei giorni scorsi: a fianco dei binari, per esempio, sono ancora montati dieci tendoni grigi del governo croato, che venivano usati come punti di accoglienza per i migranti. C’è un cartello che indica in inglese e in arabo un rubinetto di acqua potabile e ci sono alcune fotografie di migranti scomparsi, accompagnate da un numero di telefono da contattare in caso si abbiano informazioni utili. E poi c’è una tenda della Croce Rossa con dentro del cibo e delle coperte accatastate su un bancale. Oggi i tendoni sono completamente vuoti, la polizia croata si fa vedere solo per gestire la partenza dei treni e i giornalisti arrivano insieme agli autobus che portano i migranti. Quando il treno parte, la stazione di Tovarnik si svuota di nuovo. E così via.
A differenza di qualche giorno fa, i treni che partono da Tovarnik non sono più diretti a Zagabria ma a Botovo, una città croata al confine con l’Ungheria. Qui i migranti scendono, superano il confine a piedi e vengono reindirizzati dal governo ungherese verso l’Austria. La puntualità delle partenze a Tovarnik non è per nulla garantita, per due ragioni. Primo: la situazione a Opatovac, il campo da cui arrivano gli autobus con i migranti, cambia di giorno in giorno. L’UNHCR ha detto al Post che lunedì notte c’è stato un numero di arrivi fuori dall’ordinario, circa 2mila. Diversi piccoli furgoni hanno portato a Opatovac molti migranti, soprattutto siriani, che hanno dovuto attendere diverse ore per essere ammessi all’interno del campo. Ancora martedì la situazione era molto critica, con il personale dell’UNHCR costretto a montare tende aggiuntive fuori dal campo per le centinaia di persone in coda. Secondo: il procedimento per far salire i migranti sul treno a Tovarnik è piuttosto macchinoso. Gli autobus arrivano uno o due per volta: i migranti vengono fatti scendere e bloccati dalla polizia croata all’accesso della banchina. Qui, a poche decine per volta, vengono fatti ordinatamente salire sul treno. Poi il treno si sposta qualche metro più avanti, i vagoni vuoti si posizionano di nuovo di fronte ai migranti in coda, e il processo ricomincia da capo. Per far salire tutti i migranti sul treno ci vuole più di un’ora.
La maggior parte dei migranti che parte da Tovarnik è siriana: famiglie intere, tra cui molti ragazzi e bambini e qualche persona in carrozzina. In molti hanno le facce stanche e raccontano ai giornalisti il viaggio che hanno fatto per arrivare fino alla Croazia: dalla Turchia alla Grecia, e poi su per la Macedonia e la Serbia. Con loro hanno pochi oggetti: zaini, alcune sacche con le facce dei calciatori famosi – Neymar e Messi, tra gli altri – e qualche piccolo trolley. Salgono sul treno ordinati, seguendo le indicazioni della polizia croata. Qualcuno si lamenta delle condizioni del campo di Opatovac, dicendo di essere stato trattato come un “animale”, qualcun altro invita i giornalisti a parlare bene delle autorità croate.
Molti migranti non sanno dove sono diretti: lo chiedono ai giornalisti e quando sentono la risposta – “Hungary!” – non sono contenti: hanno paura che il governo ungherese li registri una volta entrati nel suo territorio e, come prevedono gli Accordi di Dublino, li costringa a fare richiesta di asilo in Ungheria. In realtà il governo ungherese non ha alcun interesse ad accogliere i migranti, anzi. Da quando è iniziata la crisi ha fatto di tutto per tenerli fuori dal paese: per esempio ha costruito un muro lungo il confine con la Serbia, sta ampliando quello già costruito sulla parte del suo confine meridionale con la Croazia e ha annunciato di voler estendere la barriera lungo il confine con la Romania. Molti migranti non vengono registrati in Ungheria – per questo il governo ungherese è stato molto criticato dagli altri paesi coinvolti nella crisi – e vengono mandati direttamente in Austria.