No, i selfie non uccidono più degli squali
L'articolo che circola moltissimo online non ha grandi basi statistiche: riguarda più i timori di chi pensa che siamo-troppo-connessi
di Caitlin Dewey – Washington Post
Un articolo pubblicato martedì 22 settembre da Mashable – e arrivato da lì sui giornali di mezzo mondo, italiani compresi – sostiene una tesi cesellata perfettamente per le ansie del mondo-in-cui-sono-tutti-sempre-connessi: negli ultimi 12 mesi, dice l’articolo di Cailey Rizzo, i selfie hanno causato più morti degli squali. Pazzesco! Sorprendente! Bisogna subito dirlo ai nostri amici di Twitter e Facebook! (cosa che hanno fatto più di 50.000 persone). Solo che la storia non ha alcun fondamento, da nessun punto di vista: Rizzo compara mele e pere, come si dice.
L’attacco di uno squalo è un fattore di morte diretta: qualcosa che produce un vero danno fisico. Un selfie, invece, è quello che chi si occupa di statistica della salute classificherebbe come un “fattore scatenante” o un “meccanismo intermedio”, a seconda delle circostanze precise: qualcosa che ha a che fare con la morte, e che magari partecipa al fatto, ma che non causa direttamente un danno fisico (a meno che il tuo telefono non ti uccida con una scossa di corrente, ma questa sarebbe una situazione diversa). I selfie da soli non fanno male a nessuno, insomma, al contrario degli squali.
Potrebbe sembrare una distinzione da poco, ma è una questione enorme. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità, spiegando questa differenza, dice: prendiamo l’esempio di una donna che inciampa su qualcosa, sbatte la testa su tavolo e muore. Nessuno direbbe mai che la colpa della morte della donna è l’oggetto su cui è inciampata: quello è solo il “fattore scatenante”. Il fattore di morte diretta è stato colpire il tavolo con la testa, proprio come in molte “morti da selfie” il fattore diretto è essere investiti da una macchina, oppure cadere per terra o qualsiasi altra cosa.
Per il gusto della discussione, potremmo comparare i numeri delle morti causate da cadute dalle scale con quelle causate da attacchi di squalo. Oppure potremmo comparare i numeri di morti occorse mentre ci si faceva un selfie con quelle occorse mentre si nuotava nell’oceano. Se lo facessimo, arriveremmo alla noiosa conclusione che le “morti da selfie” sono delle anomalie statistiche, una fetta microscopica nell’enorme grafico a torta delle morti nel mondo. Qualcosa di cui probabilmente non parleremmo nemmeno.
Perché parlarne, allora, potreste chiedere. Dopo tutto le persone si fanno male tutti i giorni per via delle loro distrazioni. Sintonizzano la radio in macchina e tamponano l’auto davanti; cominciano a pensare alla prossima vacanza e fanno bruciare qualcosa in pentola. Le radio e i sogni a occhi aperti non sono una novità, però, e quindi su di loro non facciamo drammi e non agonizziamo come facciamo con gli smartphone e i selfie.
Un giorno, presumo, queste ossessioni svaniranno e cominceremo a trattare i nostri telefoni come semplici strumenti. Fino a quel giorno, però, rilassatevi: i selfie che fate non vi stanno uccidendo.
©2015 The Washington Post