L’omicidio di Giancarlo Siani, 30 anni fa
La storia del giovane giornalista del Mattino che il 23 settembre 1985 fu ucciso dalla camorra
Giancarlo Siani, giornalista e collaboratore del Mattino di Napoli, fu ucciso dalla camorra la sera del 23 settembre di trent’anni fa; dietro piazza Leonardo, al Vomero, quartiere dove era nato e cresciuto. Aveva 26 anni, era sotto casa e gli spararono dieci colpi di pistola mentre era seduto nella sua macchina, una Citroen Mehari verde. Lo scorso 21 settembre la sua macchina – seguita da un corteo di migliaia di studenti – ha sfilato per le strade di Torre Annunziata, un comune considerato la “roccaforte” dei clan i cui capifamiglia sono stati condannati come mandanti dell’omicidio.
Giancarlo Siani era nato a Napoli il 19 settembre del 1959, aveva partecipato ai movimenti studenteschi del 1977 e dopo essersi iscritto all’università cominciò a collaborare con alcuni periodici locali. Scrisse i suoi primi articoli per Il Lavoro nel Sud, mensile della CISL, e poi iniziò a lavorare come corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano Il Mattino di Napoli. Per Il Mattino si occupò principalmente di cronaca nera e quindi di camorra, lavorando e scrivendo delle famiglie che controllavano il paese e, in particolare, dei loro rapporti con i politici locali per l’assegnazione degli appalti pubblici per la ricostruzione delle aree coinvolte dal terremoto dell’Irpinia del 1980.
Siani indagò e scrisse sulla famiglia di Valentino Gionta, sul clan Nuvoletta, alleato dei corleonesi di Riina, sul clan Bardellino e sulle loro faide interne, pubblicando il 10 giugno del 1985 un articolo in cui accusava i Nuvoletta e i Bardellino di voler spodestare e “vendere” alla polizia il boss Valentino Gionta. Partito come pescivendolo, Gionta aveva costruito un giro di affari sempre più vasto con il contrabbando di sigarette e poi di droga: l’8 giugno del 1985 era stato arrestato poco dopo aver lasciato la tenuta di Lorenzo Nuvoletta a Marano di Napoli. Basandosi su quanto gli disse un amico carabiniere, Siani scrisse: «La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan dei Bardellino».
Tre mesi dopo quell’articolo Siani – che nel frattempo era stato trasferito alla sede centrale di Napoli, in sostituzione estiva di un collega – fu ucciso da due uomini con dieci colpi di pistola alla testa, mentre era ancora seduto nella sua macchina. Quello stesso giorno Siani aveva telefonato ad Amato Lamberti, sociologo e suo ex direttore all’Osservatorio sulla Camorra, per chiedergli urgentemente un incontro. Non si è però mai saputo di cosa volesse parlare e lo stesso Lamberti, nelle diverse testimonianze che ha reso durante i processi, non ha chiarito l’episodio.
Quella telefonata è una delle molte cose non chiarite durante il processo, che è stato lungo e complicato: non è stata più ritrovata, per esempio, la documentazione a cui Siani stava lavorando e che avrebbe potuto spiegare il movente del suo omicidio; furono arrestate tre persone, poi prosciolte; le indagini vennero chiuse, riaperte e trasmesse a diversi giudici. Dopo 12 anni e le confessioni di alcuni pentiti, il 15 aprile del 1997 la seconda sezione della Corte di Assise di Napoli ha condannato all’ergastolo Valentino Gionta, Angelo e Lorenzo Nuvoletta e Luigi Baccante come mandanti dell’omicidio, Ciro Cappuccio e Armando Del Core quali esecutori materiali. Le pene sono state poi confermate dalla Cassazione, tranne che per Valentino Gionta, definitivamente assolto per non aver commesso il fatto.
Dall’inchiesta sull’omicidio di Siani nacquero diverse altre indagini sui rapporti tra politica e camorra che portarono agli arresti di imprenditori, amministratori locali, funzionari comunali e dell’ex sindaco socialista di Torre Annunziata, Domenico Bertone. Negli anni successivi il comune di Torre Annunziata è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Alla storia di Giancarlo Siani sono stati dedicati un cortometraggio di Gianfranco De Rosa, Mehari, e due film: E io ti seguo di Maurizio Fiume e Fortapàsc di Marco Risi.