Gli ultimi giorni di Alexander Wang
Lo stilista chiuderà a Parigi il suo breve periodo con Balenciaga tra delusioni e consolazioni dei media (e del suo brand)
di Enrico Matzeu – @enricomatzeu
Il 31 luglio scorso i dirigenti della società di moda Balenciaga hanno confermato le ipotesi che circolavano già da inizio estate, ovvero che l’azienda non avrebbe rinnovato il contratto al direttore creativo Alexander Wang, che quindi il prossimo 2 ottobre presenterà a Parigi la sua ultima collezione per Balenciaga, dopo solo tre anni di collaborazione. L’azienda, che è stata fondata a Parigi nel 1919 dallo stilista spagnolo Cristobal Balenciaga, dal 2001 è di proprietà della holding del lusso Kering.
Lo stilista americano di origini cinesi Alexander Wang – che dal 2005 dirigeva già il brand che porta il suo nome – era stato nominato direttore creativo di Balenciaga nel dicembre 2012, sostituendo Nicolas Ghesquière (ora da Louis Vuitton), che dopo quindici anni aveva lasciato per dei dissidi con Kering, contro cui aveva anche avviato una causa legale. Wang ha disegnato per quasi tre anni sia le collezioni del proprio marchio, che quelle di Balenciaga, viaggiando continuamente tra Parigi (sede di Balenciaga) e New York (sede di Alexander Wang). Ma all’inizio di luglio 2015 il sito WWD ha raccontato per primo la possibilità che Kering non gli rinnovasse il contratto. La conferma ufficiale c’è stata a fine luglio, con una conferenza stampa di Kering e Wang, e l’annuncio che Wang voglia dedicarsi esclusivamente al suo brand. Sul sito Business of Fashion, Imran Amed dice che questa è la «decisione giusta per entrambe le parti, così Wang ora si può concentrare sul proprio marchio e Kering può provare a cercare nuovamente il giusto talento che possa iniettare a Balenciaga quel tipo di creatività che la renda il suo prossimo brand miliardario» (Balenciaga è un marchio leggendario di grande successo soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta: il suo fondatore è morto nel 1972). È anche vero infatti che Wang non era riuscito in questi anni a raggiungere i risultati che la holding e gli addetti ai lavori si aspettavano, non solo in termini economici.
Vanessa Friedman, ad esempio, sul New York Times ha scritto che Alexander Wang da Balenciaga «non verrà ricordato per gli abiti, che erano belli, ma che non hanno soddisfatto le attese nel modo in cui solo la moda più originale può fare, ma come una sorta di grande errore». Luca Solca, analista a Exane BNP Paribas, aveva già detto a Bloomberg che Wang «finora non ha lasciato un grande segno da Balenciaga e non sarà una tragedia qualora lasci il suo posto». In sostanza, secondo gli esperti, il designer non ha creato nulla di nuovo e originale durante il suo lavoro a Parigi, ma si è limitato a utilizzare le cose per cui il brand è già riconoscibile da tutti: le maniche a sbuffo, le gonne tondeggianti e i cosiddetti “cappotti a uovo”. Ha anche lanciato un nuovo profumo e una borsa, che non ha avuto però lo stesso successo di quella creata nel 1997 da Nicolas Ghesquière, la Motorcycle Bag, che è stata disegnata negli anni in tante versioni, vendute moltissimo e a prezzi molto alti. La mancanza di un accessorio riconoscibile che incrementi le vendite (i margini di guadagno per una borsa Balenciaga sono altissimi) è stata probabilmente la ragione principale della fine della collaborazione con Wang, nonostante, scrive in un articolo Business of Fashion, nel secondo trimestre del 2015 Balenciaga avesse realizzato un aumento delle vendite del 22,8%. Kering non rende pubblici i ricavi di Balenciaga, anche se secondo alcune fonti sarebbero attorno ai 350 milioni di euro, ottenuti grazie alle novanta boutique monomarca e ai 500 punti vendita in tutto il mondo.
A distanza di un mese, è interessante vedere come la stampa – soprattutto straniera – si sia occupata così tanto del caso Balenciaga/Wang. Molti giornali hanno voluto sostenere lo stilista americano, contro i possibili – e inevitabili – giudizi seguiti alla separazione da Balenciaga. Rebecca Gonsalves sull’Independent ha scritto che «è triste che un designer lasci dopo essersi a malapena seduto al suo posto, ed è triste che ogni tipo di congettura metta in ombra Wang proprio adesso. Il brand che porta il suo nome è sulla cresta dell’onda e senza dubbio lui è sinceramente felice di separarsi dalla casa di moda francese per portare il proprio marchio “al livello di crescita successivo”». Il Wall Street Journal si è occupato di Wang con un reportage fotografico che racconta una sua giornata tipo, mentre è alle prese a Los Angeles con le fotografie di una collezione limitata dedicata al decimo anniversario del suo brand, che ricorre quest’anno. Nell’articolo vengono date un po’ di informazioni e curiosità su di lui e il suo lavoro, come il fatto che ogni giorno si mandi da solo una ventina di e-mail con idee e ispirazioni, che trascorra circa dodici settimane in un anno a Parigi, vivendo in un hotel e mangiando per lo più cibo cinese, o che subito dopo la sua primissima sfilata ricevette già un’ottantina di ordinazioni.
L’attenzione dei media verso il giovane Wang (è nato nel 1983) viene da lontano: sin dai suoi inizi è stato considerato dalla critica come uno dei più promettenti designer del mondo. La direttrice di Vogue America, Anna Wintour, e la stilista Diane von Fürstenberg gli diedero da subito il proprio sostegno e Wintour usò la propria influenza per far conoscere il designer il più possibile.
Alexander Wang si era diplomato alla Parsons School of Design di New York nel 2004 e un anno dopo, a soli 19 anni, aveva fondato il proprio marchio, grazie anche all’appoggio della sua famiglia cinese, che ha un’azienda di plastica a San Francisco. Il suo stile è considerato “street” ed è famoso per l’uso del jeans e delle t-shirt portate larghe. Le sue linee, quelle principali per donna e per uomo e quella più sportiva ed economica – T by Alexander Wang – vendono per circa 100 milioni di dollari l’anno, con una crescita del 20% tra il 2011 e il 2014. Attualmente ci sono 23 suoi negozi in tutto il mondo.
Di tutta questa storia Vanessa Friedman, sul New York Times, vede degli aspetti positivi sia per Balenciaga che per Wang. Per Wang è stata l’occasione per dimostrare la propria maturità e la capacità di lavorare con l’alta moda in un atelier parigino, ma anche di vedere i suoi abiti indossati dalle celebrity sui “red carpet” di mezzo mondo. Per Balenciaga, invece, la presenza di Wang ha aiutato i suoi clienti ad abituarsi gradualmente all’assenza di Ghesquière dopo quindici anni. La metafora che Friedman ha usato è molto efficace: «Wang è stato effettivamente la versione design del fidanzato di passaggio tra una storia e l’altra. Ora Balenciaga e la sua casa madre Kering, sono libere di trovare qualcun altro senza le stesse aspettative».