La donna che ha vinto una causa contro Universal
Stephanie Lenz aveva messo su YouTube un video dei suoi figli in cui si sentiva una canzone di Prince, la casa discografica glielo ha fatto rimuovere ma un tribunale le ha dato ragione
Una Corte d’appello federale statunitense ha dato ragione a una donna un cui video era stato rimosso da YouTube dopo un reclamo di una casa discografica. Nel video si sentiva una canzone di Prince ma la Corte ha stabilito che il video la utilizzava entro i limiti del cosiddetto “fair use”, cioè dei criteri in base al quale una citazione o incorporazione di materiale protetto da copyright nell’opera di un altro autore può considerarsi lecita. Secondo la stampa americana la sentenza è molto importante perché riguarda potenzialmente tantissimi altri casi, diventati sempre più comuni su internet e sui social media, di utilizzo di canzoni e opere protette da copyright come sottofondo e porzione di opere autoprodotte.
La donna che ha vinto la causa si chiama Stephanie Lenz ed è una mamma statunitense che nel 2007 ha pubblicato su YouTube un video dei suoi figli. Nel video, i figli giocano in cucina mentre ascoltano la canzone Let’s Go Crazy di Prince. Il video dura 29 secondi e mostra la bambina più grande che gira intorno al tavolo e il più piccolo, di tredici mesi, che quando la mamma gli chiede cosa pensa delle musica inizia a saltellare appoggiato a un giocattolo. Il video ha avuto più di un milione e mezzo di visualizzazioni. La Universal Music, società responsabile dei diritti d’autore di Prince, ha chiesto che il video venisse rimosso, mandando a Youtube un avviso di rimozione per violazione del copyright. YouTube ha acconsentito e il video è stato tolto.
Stephanie Lenz allora ha fatto causa alla Universal, sostenendo che la società avesse abusato della sua possibilità di far rimuovere il video, senza fermarsi a pensare se potesse rientrare nella categoria del “fair use”, che non costituisce un’infrazione del copyright. Lunedì una sentenza della Corte d’appello federale le ha dato ragione, stabilendo che la Universal ha mal esercitato il suo diritto di emettere la notifica di rimozione a YouTube, perché non ha preso in considerazione la possibilità che il video di Lenz utilizzasse la canzone in modo legittimo.
La legislazione statunitense in materia di copyright si basa sul “Millennium Copyright Act”, che non consente l’utilizzo da parte di terzi di materiale coperto dai diritti d’autore a eccezione del caso in cui tale utilizzo non rientri nella clausola del “fair use”, l’uso equo. Il “fair use” consente l’utilizzo di materiale protetto dal copyright per scopi come il diritto di critica, il giornalismo, l’insegnamento e la ricerca: per esempio consente a un giornalista di citare un brano di un libro in un suo articolo o a un ricercatore di citare i versi di una poesia che sta studiando. La giurisprudenza statunitense ha stabilito quattro fattori da valutare per determinare se si può parlare di “fair use” o no: l’oggetto e la natura dell’uso, in particolare se ha natura commerciale oppure didattica e se è senza scopo di lucro; la natura dell’opera protetta; la quantità e l’importanza della parte utilizzata sul totale dell’opera protetta; le conseguenze di questo uso sul mercato potenziale o sul valore dell’opera protetta.
La sentenza sul video di Stephanie Lenz è importante perché stabilisce un precedente giuridico e apre una questione. Ogni giorno, infatti, le case discografiche e le società che detengono i diritti d’autore scandagliano internet in cerca di eventuali violazioni, facendo spesso uso di algoritmi più che del lavoro umano. Ci sono software che ogni giorno esaminano milioni di post e video alla ricerca di materiale protetto da diritto d’autore. Una definizione più ampia e soggettiva di “fair use” renderebbe inutile l’uso di questi strumenti, che dovrebbero essere rimpiazzati o integrati dal lavoro di un essere umano in grado di valutare caso per caso (anche se il tribunale ha detto che un algoritmo in grado di fare questa distinzione sarebbe legale ed efficace).
Il giudice del caso di Stephanie Lenz ha anche spiegato che ai responsabili del copyright che ignorino o trascurino il “fair use” prima di emettere avvisi di rimozione potrebbero essere richiesti i danni, purché il querelante dimostri che i responsabili erano in mala fede. Per ora Lenz ha ottenuto ragione solo sul fatto che la Universal non avesse considerato il “fair use” nel giudicare il suo video: per aver diritto a un risarcimento dovrà dimostrare che l’azione è stata portata avanti in mala fede.