Intervenire in Siria
Con quello che succede sta tornando la discussione sull'uso della forza internazionale: per Adriano Sofri è il momento di "spalancare la carta geografica sul tavolo"
Nella sua rubrica quotidiana sul Foglio, Adriano Sofri pone una questione vecchia e sempre nuova, ogni volta che le sofferenze di tante persone in zone di guerra che la diplomazia non sa fermare mostrano la contraddizione tra il dire “bisogna fare qualcosa” e il dire “non possiamo intervenire”; il tema dell'”uso della forza”, o della “polizia internazionale”. Oggi la maggior parte degli esperti che studiano la situazione in Siria, ma anche le sue conseguenze sulle crisi delle migrazioni di queste settimane, affermano che la situazione non cambierà senza che dall’esterno non si interrompano combattimenti e violenze. Altre opinioni sostengono che questo non si possa fare, fosse anche una soluzione, per le più gravi conseguenze che avrebbe. Per Sofri è il caso di cominciare a “spalancare una cartina sul tavolo”.
Peccato che Matteo Renzi si sia affrettato a dichiarare che l’Italia si terrà alla larga dalle iniziative militari annunciate o discusse in Francia, nel Regno Unito, in Canada, in Australia. Queste iniziative hanno un colossale difetto: arrivano molto tardi. Si è lasciato che una banda armata internazionale – non c’è infatti, in Siria o in Iraq, nemmeno lo straccio di pretesto dell’ingerenza in uno Stato indipendente – infierisse su umani e cose e si costituisse in Stato a sua volta, embrione del Califfato universale cui proclama di ambire. Si discute dell’estensione dei raid dall’Iraq alla Siria, ridicolmente, come se esistessero ancora l’Iraq e la Siria. Matteo Renzi e i suoi colleghi di governo hanno detto anche delle impetuose sciocchezze, sull’intervento in Libia, sui barconi da bombardare. Ma hanno badato a “restare umani”, quanto al soccorso dei migranti, anche quando l’ondata del ripudio sembrava gonfiarsi fino a diventare travolgente.
Però Renzi non può ignorare che soccorrere e accogliere senza intervenire, con una forza proporzionata alla minaccia, nei luoghi della guerra e dei genocidi è come asciugare con lo straccio e il secchio la casa inondata, senza chiudere il rubinetto.
(continua a leggere sulla pagina Facebook di Adriano Sofri)