Il fagiolone di Chicago copiato in Cina
La città di Karamay è stata accusata di aver plagiato il famoso Cloud Gate di Anish Kapoor
L’Economist di questa settimana pubblica una riflessione – a proposito di arte e plagio – sulla recente questione che ha coinvolto l’artista britannico Anish Kapoor e la città cinese di Karamay, nella regione di Xinjiang, nella Cina nord-occidentale. Kapoor – che ha 61 anni ed è stato famoso negli ultimi anni soprattutto per la torre realizzata per le Olimpiadi di Londra – ha accusato le autorità di Karamay di plagio dopo l’inaugurazione di un’opera molto simile alla famosa “Cloud Gate” di Chicago: una sua creazione nota anche come “big bean” per la forma simile a un enorme fagiolo. L’aspetto delle due installazioni è praticamente uguale, come l’acciaio inox con cui sono realizzate, ed entrambe riflettono il panorama e lo skyline allargato delle città alla stessa maniera.
Kapoor aveva detto alla BBC «sembra che oggi in Cina sia permesso rubare la creatività altrui», annunciando azioni legali. Il Cloud Gate – che si trova esposto all’aperto nel Millennium Park di Chicago – è diventato uno dei simboli della città, tanto da spingere l’artista britannico di origini indiane a chiedere l’appoggio del sindaco di Chicago Rahm Emanuel attraverso una lettera aperta. Anche se non siete stati a Chicago, forse avete visto il Big Bean nel film Source Code del 2011, con Jake Gyllenhaal, e in altri girati negli ultimi anni in città.
L’ufficio del turismo di Karamay ha risposto sottolineando che le similitudini tra le due sculture sono coincidenze, ma rifiutandosi di diffondere il nome dell’artista. Il Wall Street Journal ha intervistato l’assessore all’urbanistica della città cinese, che ha indicato una pretesa differenza di ispirazione tra le due opere: il Cloud Gate sarebbe ispirato a una goccia di mercurio, mentre la scultura cinese alluderebbe al petrolio, materia prima su cui è fondata l’industria maggiore di Karamay e di tutta la regione cinese, che confina con il Kazakistan. Il nome dell’opera – in lingua uigura – è “bolle nere”.
La polemica ha riaperto il dibattito sul copyright artistico e sull’approccio cinese alla questione, spesso criticato per l’inclinazione a replicare i prodotti più vari. Jonathan Jones sul Guardian ha ricordato come la “Rivoluzione Culturale” di Mao, con la conseguente condanna delle élite intellettuali, abbia rappresentato uno spartiacque nell’approccio alla creatività individuale. Secondo l’Economist se la causa venisse intentata, verrebbe probabilmente vinta da Kapoor per l’assenza del “fair use” della proprietà intellettuale: si ottiene un’amnistia solamente ammettendo l’esplicita ispirazione all’opera.
In Cina ci sono state di recente parecchie condanne per plagio – la più importante è quella per l’inno dei giochi olimpici invernali del 2022 – e sono state replicate molte sculture e opere europee: la Torre Eiffel, la basilica di San Pietro e il Tower Bridge di Londra. In nessuno di questi casi è stata pagata una somma per il copyright. Ma secondo l’Economist la rinnovata popolarità di queste opere presso i visitatori cinesi ha avuto ricadute positive sul turismo dei luoghi vittime dei plagi. Il caso più noto è la riproduzione del 2011 del villaggio austriaco di Hallstat a Luoyang, nella provincia di Guangdong. Quando il sindaco del piccolo villaggio alpino, che è anche riconosciuto come patrimonio UNESCO, venne a conoscenza della notizia nel 2011, minacciò di ricorrere a tribunali internazionali: ma la straordinaria affluenza di turisti cinesi, attratti dall’originale dopo aver visto la copia, spostò l’opinione pubblica austriaca fino alla firma di un accordo di scambio culturale avvenuta nel 2012.