Ancora proteste in Libano
I manifestanti hanno occupato il ministero dell’Ambiente a Beirut mentre decine di persone protestavano contro il governo: le foto
Martedì 1 settembre, circa trenta persone sono entrate all’interno nel ministero dell’Ambiente a Beirut, in Libano, mentre fuori dall’edificio decine di manifestanti protestavano contro i numerosi disservizi legati alla raccolta dei rifiuti e più in generale contro il governo del primo ministro Tammam Salam. Gli organizzatori della protesta, che è stata chiamata “Tu puzzi!”, hanno accusato la polizia di aver picchiato i manifestanti mentre li facevano evacuare. Secondo un responsabile della Croce Rossa, fuori dal ministero sono state soccorse quindici persone: tra loro una per soffocamento e quattordici per percosse. Un sedicesimo manifestante sarebbe attualmente ricoverato in ospedale.
Le proteste in Libano proseguono da settimane. Nella notte tra sabato 29 e domenica 30 agosto c’erano stati scontri con la polizia durante una manifestazione a cui erano presenti circa 10mila manifestanti. La settimana prima c’erano stati altri violenti scontri con il ferimento di decine di persone. Le proteste erano iniziate a causa del mancato intervento nella crisi dello smaltimento dei rifiuti, che va avanti da almeno un mese con la chiusura della principale discarica della città. Le proteste sono anche rivolte verso la complicata situazione politica del Libano: il mandato dell’ultimo presidente del paese, Michel Suleiman, è finito nel maggio del 2014: da allora il Parlamento non è riuscito a trovare un nome condiviso per eleggere il suo successore.
Da più di un anno, dunque, il Libano è senza un presidente: si tratta del vuoto più lungo dalla fine della guerra civile (1990) e diversi analisti pensano che la situazione non si sbloccherà in tempi brevi. Il presidente del Libano non ha poteri reali, ma la sua posizione è molto importante nel delicato equilibrio di potere di un paese che garantisce la rappresentanza alle varie confessioni religiose. Il vuoto presidenziale dell’ultimo anno ha generato un blocco istituzionale: i lavori del Parlamento procedono a rilento e questo ha ripercussioni su questioni economiche, sociali e anche in materia di sicurezza.