Un’altra notte di scontri in Libano
Dopo una giornata di manifestazioni pacifiche, la polizia ha caricato e arrestato alcuni manifestanti, che da giorni protestano contro il governo
Nella notte tra sabato 29 e domenica 30 agosto a Beirut, in Libano, ci sono stati scontri tra la polizia e i manifestanti, che da giorni protestano per i numerosi disservizi legati alla raccolta dei rifiuti e più in generale contro il governo del primo ministro Tammam Salam. Stando alle testimonianze raccolte da Al Jazeera, la polizia è intervenuta per disperdere la folla di circa 10mila manifestanti, eseguendo diverse cariche e arrestando alcune persone. In precedenza gli agenti avevano chiesto a chi stava manifestando di spostarsi da piazza Riad al-Solh dove si erano riuniti, ma le cose sono diventate meno gestibili dal punto di vista della sicurezza quando è stato dato fuoco ad alcuni cassonetti e alcune persone hanno provato a superare una barriera collocata dagli agenti.
Gli organizzatori della protesta, che è stata chiamata “Tu puzzi!”, hanno dato al governo una sorta di ultimatum fino a martedì, minacciando di rendere ancora più intense le proteste se non saranno accolte le loro richieste, che comprendono le dimissioni dell’attuale ministro dell’Ambiente. La manifestazione di sabato era iniziata pacificamente, con una marcia e cartelli con cui si chiedevano le dimissioni del governo, nuove elezioni e misure concrete per risolvere il problema dei rifiuti. Secondo gli organizzatori c’erano almeno 30mila persone alla manifestazione, mentre le autorità locali hanno stimato che fossero presenti circa 10mila manifestanti.
La scorsa settimana c’erano stati altri violenti scontri tra polizia e manifestanti, con il ferimento di decine di persone. Le proteste erano iniziate a causa del mancato intervento nella crisi dello smaltimento dei rifiuti, che va avanti da almeno un mese con la chiusura della principale discarica della città. Le proteste sono anche rivolte verso la complicata situazione politica del Libano: il mandato dell’ultimo presidente del paese, Michel Suleiman, è finito nel maggio del 2014: da allora il Parlamento non è riuscito a trovare un nome condiviso per eleggere il suo successore. Da più di un anno, dunque, il Libano è senza un presidente: si tratta del vuoto più lungo dalla fine della guerra civile (1990) e diversi analisti pensano che la situazione non si sbloccherà in tempi brevi. Il presidente del Libano non ha poteri reali, ma la sua posizione è molto importante nel delicato equilibrio di potere di un paese che garantisce la rappresentanza alle varie confessioni religiose.
In Libano convivono musulmani sunniti (in gran parte rappresentati dal “Movimento 14 marzo”), musulmani sciiti (come gli appartenenti al movimento Hezbollah) e cristiani. La guerra civile siriana ha complicato gli equilibri: nel paese sono arrivati dall’inizio del conflitto più di un milione di rifugiati. Gestire un tale numero di persone è un impegno notevole, soprattutto per un paese che ha poco più di 4 milioni di abitanti. Inoltre i principali gruppi politici si sono più o meno apertamente schierati con le fazioni in lotta in Siria: semplificando, sciiti e cristiani parteggiano per il regime di Assad, insieme con Hezbollah; i sunniti invece sono più vicini ai ribelli siriani e ostili al regime. Il vuoto presidenziale dell’ultimo anno ha generato un blocco istituzionale: i lavori del Parlamento procedono a rilento e questo ha ripercussioni su questioni economiche, sociali e anche in materia di sicurezza.