È morto Oliver Sacks
Il celebre neurologo, conosciuto e apprezzatissimo divulgatore, è morto a 82 anni per un cancro
Oliver Sacks, neurologo molto conosciuto e apprezzatissimo divulgatore, è morto a 82 anni a New York. Lo scorso febbraio aveva annunciato in un editoriale sul New York Times di avere un tumore in fase terminale. Oliver Sacks ottenne un grande successo nel 1985 con il suo saggio “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, dove raccontava in forma divulgativa le sue esperienze cliniche con pazienti affetti da diverse lesioni cerebrali, che causavano comportamenti bizzarri e talvolta misteriosi. Da allora Oliver Sacks aveva scritto numerosi altri saggi – anni fa ebbe un grande successo mondiale il suo “Musicofilia” – concentrandosi principalmente sulle difficoltà che hanno alcune persone nel riconoscere i volti e i luoghi. Patologie – come la prosopagnosia – che nelle forme più gravi impediscono a chi ne è affetto di condurre una vita normale, con esiti a volte tragicomici.
Nel suo editoriale sul New York Times aveva scritto:
Non posso fingere di non avere paura. La mia attuale sensazione predominante, però, è di gratitudine. Ho amato e sono stato amato. Mi è stato dato tanto e qualcosa ho restituito. Ho letto e viaggiato e pensato e scritto. Ho avuto una relazione col mondo, quella speciale relazione tra scrittori e lettori. Soprattutto, sono stato un essere senziente, un animale pensante, su questo pianeta meraviglioso, e questa cosa in sé è stata un enorme privilegio e una fantastica avventura.
In un altro articolo pubblicato sempre sul New York Times lo scorso 14 agosto, Sacks era tornato a parlare della sua malattia e del poco tempo che gli era rimasto:
Ora, col fiato corto, con i miei muscoli un tempo forti sciolti dal cancro, mi ritrovo a pensare sempre di più non al soprannaturale o a qualcosa di spirituale, ma a che cosa significhi vivere una vita buona e degna di essere vissuta, raggiungendo un senso di pace con se stessi. Mi ritrovo a pensare al Sabbath, il giorno di festa, il settimo giorno della settimana, e forse il settimo giorno di una vita, quando uno può sentire di avere completato un compito e può, in buona coscienza, riposare.
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Oliver Sacks ricordato da Emily Langer del Washington Post
Sacks era inglese ma aveva vissuto per la maggior parte della sua vita negli Stati Uniti, dove si era occupato di pazienti con malattie al sistema nervoso rare e apparentemente senza speranza di guarigione. Era nato a Londra il 9 luglio 1933 da una famiglia ebrea praticante di scienziati: i suoi genitori erano entrambi medici – suo padre medico di famiglia, sua madre una chirurga – che gli trasmisero la passione per l’anatomia. Studiò all’Università di Oxford, e durante i suoi studi medici fece uso di LSD che lo portò a una dipendenza dalle droghe che durò anni, come raccontò nei suoi libri. Nel 1960 andò in vacanza in Nord America, e mandò un telegramma ai suoi genitori in cui diceva che sarebbe restato: trascorse negli Stati Uniti il resto della sua vita.
Sacks è stato soprattutto apprezzato per la sua attività divulgativa, tanto da essere spesso definito un “poeta” della medicina moderna. I suoi libri, molti diventati bestseller, generalmente erano scritti in forma di aneddoti: i suoi pazienti più famosi sono quelli descritti nel libro “Risvegli”, pubblicato nel 1973 e successivamente adattato in un film di Penny Marshall, candidato all’Oscar.
Il film raccontava la sua esperienza alla Beth Abraham Home for the Incurables del Bronx, che lui aveva soprannominato Mount Carmel. I suoi pazienti – nel film a interpretare Leonard, il primo a risvegliarsi, era Robert De Niro – erano alcuni delle centinaia di migliaia colpiti dall’encefalite letargica durante e dopo la Prima Guerra Mondiale. La malattia fece moltissime vittime: tra i sopravvissuti, molti rimasero in uno stato comatoso simile a una grave forma di Parkinson. Dal momento che non c’era cura per la malattia, i pazienti finivano in istituti come quello in cui trovò lavoro Sacks da giovane, nel 1966, dopo che non era riuscito a diventare ricercatore di laboratorio. «Non comunicavano né davano mai segni di vita, erano inconsistenti come fantasmi, passivi come zombie» scrisse Sacks in “Risvegli”.
Ai tempi la terapia con levodopa aveva iniziato a promettere qualche risultato nel trattamento del Parkinson: prima di iniziare a gestire le medicazioni dei pazienti, Sacks aveva sollevato dubbi sul risveglio dei malati attraverso le medicine, e sui “vasi di Pandora” che potevano aprirsi risvegliando persone che erano rimaste fuori dal mondo per così tanto tempo. Ottenne il permesso dalla Food and Drug Administration per iniziare a testare il levodopa su alcuni pazienti, e ottenne risultati sorprendenti. «Davanti ai nostri occhi accadeva un cataclisma di dimensioni quasi geologiche: il “risveglio” esplosivo, la stimolazione di ottanta e più pazienti che erano stati a lungo considerati, e si consideravano essi stessi, come effettivamente morti. Non posso non pensare a quel periodo con profonda emozione: fu la cosa più significativa e straordinaria della mia vita, oltre che delle vite dei pazienti».
Col tempo però gli effetti positivi della medicina diminuivano ed erano sostituiti da un comportamento maniacale. Sacks raccontò che a volte passava fino a venti ore al giorno in ospedale a provare a calibrare le giuste dosi per i pazioneti, che se interrompevano il trattamento tornavano allo stato di trance. «Uno o due mi dissero: “Apri una finestra e mi dai speranze e prospettive insostenibili, e ora la chiudi» raccontò Sacks al Washington Post. Nel 1970 Sacks descrisse la propria esperienza con levodopa in una lettera al Journal of the American Medical Association, ottenendo però risposte molto critiche da parte dell’establishment scientifico.Dopo molti anni all’Albert College of Medicine del Bronx, Sacks insegnò alla Columbia University e alla New York University School of Medicine.
Fu il film “Risvegli” che rese famosi al grande pubblico Sacks e i suoi libri, apprezzati per l’abilità dimostrata nelle descrizione delle malattie neurologiche più varie, dalla sindrome di Tourette all’autismo all’Alzheimer.
Sacks stesso aveva avuto complicazioni mediche notevoli: dopo un incidente in montagna in cui si ferì a una gamba, rimase temporaneamente con la sensazione che l’arto non fosse collegato al suo corpo. Non vedeva da un occhio a causa di un tumore, e nel suo libro “The Mind’s Eye” raccontò la propria prosopagnosia, una sindrome che gli rendeva difficile riconoscere i volti. Era anche una persona estremamente timida, ma riusciva a superare questa condizione con i pazienti. Si descriveva come «un uomo di carattere energico, con un entusiasmo violento e estremo in tutte le passioni»: era un buon nuotatore, un talentuoso pianista ed era appassionato di botanica. Il suo ultimo libro, “In movimento”, è dedicato a Billy Hayes, altro autore di diverse pubblicazioni mediche con il quale Sacks aveva avuto una relazione poco dopo aver compiuto 75 anni.