Cos’è la misofonia

È il disturbo che avete se siete intolleranti ai rumori comuni – il ticchettio della tastiera, la masticazione – ma non sono tutti d'accordo nel chiamarlo "disturbo"

di Megan Cartwright – Slate

(NICOLAS ASFOURI/AFP/Getty Images)
(NICOLAS ASFOURI/AFP/Getty Images)

Quando lessi per la prima volta una descrizione della misofonia la mia reazione fu: quindi ci sono altre persone con questo disturbo? Persone che provano il mio stesso intenso fastidio per i suoni di tutti i giorni, dalla masticazione rumorosa allo schiocco delle labbra, dal rumore di chi tira su col naso al clic delle biro, suoni che le altre persone possono ignorare?

La mia seconda reazione fu: dannazione, mi sono appena fatto una diagnosi su Google.

E la mia terza reazione fu: aspetta, sono uno scienziato e un giornalista scientifico. Allora farò la cosa più razionale: interrogherò alcuni scienziati che si occupano di misofonia e gli farò delle domande. Per esempio, cosa sappiamo della misofonia? Possiamo curarla? E dobbiamo davvero trattarla come un disturbo, al pari di gravi casi di depressione o disturbo bipolare?

Ho iniziato da PubMed, l’enorme database di articoli scientifici della National Library of Medicine. La mia ricerca per misofonia ha restituito 26 articoli, la maggior parte dei quali molto recenti, contro le diverse migliaia che ho trovato cercando per gravi disturbi depressivi.

Uno dei pochi laboratori ad aver pubblicato materiale su questo argomento è quello guidato dal neuroscienziato Vilayanur Ramachandran, noto anche per essere uno speaker delle famose conferenze TED. Il dottor Miren Edelstein, dell’Università della California a San Diego, ha spiegato che la prima volta che il centro fu contattato da un gruppo online di supporto per le persone affette da misofonia la reazione fu piuttosto scettica: «Nessuno aveva mai sentito parlare di questo disturbo» nel 2011, e le persone spesso chiedevano a Ramachandran di controllare i loro acciacchi.

Quando Edelstein e i suoi colleghi intervistarono 11 volontari dal gruppo che aveva contattato il loro centro, furono colpiti dalle somiglianze tra i casi. Tutti i volontari reagirono intensamente a un suono che Edelstein descrive come quello di una bocca che mastica. Quando fece sentire a due gruppi di persone – con e senza la misofonia – una serie di suoni come la masticazione, il suono del naso che tira su e lo schiocco delle labbra, entrambi i gruppi reagirono negativamente. Le persone con la misofonia però reagirono di più, cosa che poteva indicare il fatto che la misofonia potesse semplicemente essere una forma estrema di un disturbo comune. Forse le persone affette da misofonia avevano connessioni neurali particolarmente forti tra le parti del cervello che processano i suoni e il sistema limbico, che aiuta a regolare le emozioni.

I volontari sapevano che le loro reazioni aggressive erano inappropriate ed esagerate. Raccontarono ad Edelstein delle tecniche che avevano sviluppato per convivere con la cosa: uscire da una stanza, evitare certe situazioni, indossare spesso le cuffie per sentire la musica e simulare i suoni fastidiosi per coprirli. Alcune di queste tecniche avevano effetti negativi sulla loro vita privata e lavorativa.

Uno studio ha esaminato la presenza della misofonia nella popolazione generale. Nel 2014 un gruppo di studiosi dell’Università della Florida del Sud, guidato dagli psicologi Monica Wu ed Eric Storch, indagò la presenza di sintomi della misofonia tra 483 studenti selezionati tra quelli dei primi anni dell’università. Il gruppo non era rappresentativo della popolazione mondiale: circa il 60 per cento erano bianchi, l’80 per cento erano donne e tutti stavano partecipando allo studio per avere crediti aggiuntivi per il loro corso di psicologia.

Wu e i suoi colleghi rilevarono che il 20 per cento degli studenti presentavano sintomi rilevanti di misofonia. Gli studenti con sintomi rilevanti avevano “reazioni estreme a certi precisi stimoli sonori”, dice Wu, stimoli simili a quello della masticazione descritto dallo studio di Edelstein. Anche loro avevano usato meccanismi di protezione simili a quelli descritti dalle persone che avevano parlato con Edelstein. Circa il 10 per cento delle persone che presentavano sintomi di misofonia dicevano anche che la cosa gli aveva causato problemi a scuola e al lavoro. Un numero così alto di persone mi stupì, ma pensandoci non è facile capire come mai tante persone non parlino volentieri di una cosa che assomiglia molto a una reazione esagerata e da pazzi a un suono come quello delle labbra che schioccano.

Una cosa interessante scoperta da Wu fu che i sintomi della misofonia si accompagnavano a sintomi di ansia, depressione e disturbo ossessivo compulsivo. Potevo capire che le persone si sentissero ansiose e depresse a causa delle misofonia. Ma mi sorprese il legame tra la misofonia e il disturbo ossessivo compulsivo, un tipo di disturbo di ansia caratterizzato da pensieri particolarmente intrusivi e dalla necessità di reagire con certi comportamenti per placarli. In ogni caso, lo studio di Wu non era stato il primo a indicare legami tra la misofonia e altri disturbi mentali. Nel 2013 lo psichiatra Arjan Schröder e i suoi colleghi all’Università di Amsterdam proposero di classificare la misofonia come un nuovo disturbo psichiatrico, suggerendo di categorizzarlo sullo spettro dei disturbi ossessivo compulsivi. Loro avevano esaminato 42 pazienti che si erano diagnosticati i sintomi della misofonia riscontrando una sindrome comune: certi suoni specifici causavano reazioni violente e meccanismi di protezione socialmente isolanti. Schöder mi ha spiegato che circa la metà dei pazienti presentava anche i segni di un disturbo ossessivo compulsivo.

Ma se la misofonia è un disturbo psichiatrico, può essere curato con terapie e medicine?

Non necessariamente. Wu ha delle riserve sulla prescrizione di medicine fino a che non si sapranno più cose sul disturbo, ma ha opinioni più aperte per quanto riguarda gli approcci con la terapia. Il suo team dice di aver aiutato due giovani pazienti a superare il disturbo usando la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Non tutti i ricercatori, tuttavia, sono concordi nel definire la misofonia come una malattia psichiatrica.

Trattare la misofonia come un tipo di disturbo ossessivo compulsivo è un approccio “estremo, inaccurato e sbagliato”, sostiene Pawel Jastreboff, professore di otorinolaringoiatria all’Università di Emory. Lui e la sua collaboratrice Margarett Jastreboff (che è anche sua moglie) hanno coniato il termine misofonia nel 2001. Secondo loro la misofonia è una diminuzione della capacità di tolleranza del rumore. Jastreboff sostiene di aver visitato centinaia di persone con misofonia e che solo pochissimi di loro presentavano anche sintomi di disturbi psichiatrici; secondo lui, il suo collega olandese ha erroneamente legato la misofonia ai disturbi ossessivo compulsivi perché stavano già studiando pazienti con disturbi psichiatrici, alcuni dei quali presentavano sintomi di misofonia. I Jastreboff propongono di trattare la misofonia come una reazione acquisita: secondo loro le persone con misofonia hanno semplicemente imparato ad associare una certa reazione a qualcosa che inizialmente trovavano semplicemente fastidioso, come il suono emesso a tavola da qualcuno con cattive maniere. Partendo da quell’idea i Jastreboff hanno cominciato a curare le persone con forme di terapia desensibilizzante, per esempio facendo associare ai pazienti lo stimolo negativo con una sensazione positiva, per esempio mangiare un dolce particolarmente buono. “La misofonia può decisamente essere curata con successo”, sostiene Pawel Jastreboff, “ma bisogna sapere come farlo”. Nel 2014 i Jastreboff hanno riportato miglioramenti in 152 pazienti su 184 trattati con terapia desensibilizzante: l’83 per cento.

Dopo aver letto il loro studio, avevo ancora qualche dubbio. Il loro studio era di osservazione e non era basato sui criteri degli studi clinici randomizzati, nei quali i pazienti sono divisi in più gruppi e sottoposti in modo casuale a terapie diverse o a nessuna. Tutti i pazienti erano stati trattati con la stessa terapia, quindi non si potevano fare paragoni con i miglioramenti che avrebbero potuto accadere nel tempo naturalmente e con quelli di persone trattati con altre terapie o con nessuna. Inoltre lo studio sembrava viziato da un effetto placebo, perché ai pazienti era chiesto di auto valutare i loro miglioramenti e sapevano di aver affrontato diversi mesi di terapia. Questi limiti sono riconosciuti anche dai Jastreboff, che sperano possano essere superati in futuro.

Questo dibattito sulla natura e sui rimedi alla misofonia non è sorprendente. È un disturbo relativamente nuovo e non è stata fatta molta ricerca sul tema. Ma se c’è così tanta incertezza nella piccola comunità scientifica di quelli che studiano la misofonia, ha senso trattarla come un disturbo a se stante?

Gli scienziati che studiano la misofonia credono di sì, per via dei terribili effetti riscontrati nei pazienti. Schröder dice che i suoi pazienti “hanno sintomi gravi e spesso debilitanti”. Non possono cenare con la loro famiglia, lavorare in grandi uffici o vivere serenamente con i loro partner. Wu ha anche notato problemi seri tra i bambini con misofonia: in un caso il paziente non poteva andare a scuola o parlare con sua madre. Edelstein ha riportato che almeno una delle 11 persone che aveva visitato aveva preso in considerazione il suicidio.

Nello studio del 2013, Schröder e i suoi colleghi hanno proposto una classificazione dei criteri di diagnosi per la misofonia, per migliorarne il riconoscimento e incoraggiare la ricerca. Far sì che la misofonia sia riconosciuta nella prossima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, sostengono diversi ricercatori, sarebbe decisamente d’aiuto anche da un punto di vista pratico, per dare alla malattia un nome e una “legittimità” con parenti e amici delle persone affette.

Ma allora: cosa dovrebbe fare una persona dotata del giusto senso critico che si fosse auto-diagnosticata la misofonia leggendone su internet? Personalmente, visto che oltre alle rare volte in cui mi irrito parecchio non ho riscontrato gravi problemi per via della misofonia, ho deciso di aspettare il corso della ricerca e del dibattito scientifico. Tuttavia, dopo aver sentito racconti di pazienti isolati, depressi e che hanno pensato al suicidio, vorrei dire questa cosa: si può trovare aiuto là fuori. Spero che essere a conoscenza della misofonia possa aiutare le persone che non sapevano ce ne fossero altre come loro: altre che non sopportano il rumore della gente che mastica, che tira su con il naso o che fa schioccare le labbra.

© Slate 2015