La crisi del Libano
Ci sono stati violenti scontri con la polizia a causa della gestione dei rifiuti, ma i problemi sono molti di più (e da più di un anno non c'è un presidente)
Domenica 23 agosto a Beirut, in Libano, ci sono stati violenti scontri tra polizia e manifestanti: sono state ferite decine di persone e il primo ministro Tammam Salam ha minacciato di presentare le sue dimissioni. Le proteste sono cominciate sabato a causa del mancato intervento nella crisi dello smaltimento dei rifiuti – da almeno un mese la principale discarica della città è chiusa ed è stata sospesa la raccolta dei rifiuti – ma sono rivolte in generale contro il governo e la corruzione di cui è accusato.
Negli scontri di sabato erano rimaste ferite almeno 16 persone. Molti manifestanti avevano dormito in tenda e domenica erano tornati a riunirsi per le strade della capitale cercando, nel tardo pomeriggio, di rimuovere il filo spinato messo a protezione della sede del governo e lanciando pietre e bottiglie piene di sabbia contro la polizia. Alcuni manifestanti hanno anche dato fuoco a una moto e hanno cercato di formare delle barricate con tavoli e pannelli in legno. Le forze di sicurezza libanesi hanno risposto usando cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. Secondo il segretario generale della Croce Rossa, 43 manifestanti sono stati ricoverati in ospedale per soffocamento o fratture. Altri duecento sono stati soccorsi sul posto. Inoltre 30 membri delle forze di sicurezza sono rimasti feriti, uno in modo grave.
In generale la situazione politica del Libano è molto complicata. Il mandato dell’ultimo presidente del paese, Michel Suleiman, è terminato nel maggio del 2014: da allora il Parlamento ha votato decine di volte cercando di raggiungere il quorum necessario per nominare un nuovo capo di Stato, senza riuscirci. Da più di un anno, dunque, il Libano è senza un presidente: si tratta del vuoto più lungo dalla fine della guerra civile (1990) e diversi analisti pensano che la situazione non si sbloccherà in tempi brevi. Il presidente del Libano non ha poteri reali, ma la sua posizione è molto importante nel delicato equilibrio di potere di un paese che garantisce la rappresentanza alle varie confessioni religiose.
Nel febbraio del 2014 il primo ministro Tammam Salam, musulmano sunnita, era riuscito a formare un nuovo governo dopo 10 mesi di tentativi. Salam era stato nominato nell’aprile del 2013 dopo le dimissioni del suo predecessore Najib Mikati. Il paese era fino agli anni Settanta uno dei più ricchi del Medio Oriente e Beirut era considerata una meta turistica molto ambita: tra il 1975 e il 1990 ha attraversato però una durissima guerra civile che ha inasprito le divisioni etniche e religiose del paese. In Libano, infatti, convivono musulmani sunniti (in gran parte rappresentati dal “Movimento 14 marzo”), musulmani sciiti (come gli appartenenti al movimento Hezbollah) e cristiani.
La guerra civile siriana ha peggiorato la situazione. In Libano sono arrivati dall’inizio del conflitto più di un milione di rifugiati. Gestire un tale numero di persone è un impegno notevole, soprattutto per un paese che ha poco più di 4 milioni di abitanti. Inoltre i principali gruppi politici si sono più o meno apertamente schierati con le fazioni in lotta in Siria: semplificando, sciiti e cristiani parteggiano per il regime di Assad, insieme con Hezbollah; i sunniti invece sono più vicini ai ribelli siriani e ostili al regime. Il vuoto presidenziale dell’ultimo anno ha generato un blocco istituzionale: i lavori del Parlamento procedono a rilento e questo ha ripercussioni su questioni economiche, sociali e anche in materia di sicurezza.
Nelle ultime ore Salam ha parlato in televisione e ha avvertito che il paese era destinato al collasso: ha parlato del problema della spazzatura ma anche in generale di «spazzatura politica» del paese. Il primo ministro ha spiegato che giovedì prossimo è prevista una riunione del governo per discutere di una gara d’appalto per la gestione dei rifiuti, ma ha anche aggiunto che se non si troverà una soluzione lui è pronto a dare le dimissioni. Se Salam lo farà, il suo esecutivo verrebbe sostituito da un governo tecnico, ma le sue dimissioni innescherebbero una crisi costituzionale. In Libano è infatti il presidente che nomina il primo ministro. Il paese è infine pesantemente indebitato e rischia di non essere in grado di pagare gli stipendi pubblici del prossimo mese.