L’ISIS e la “teologia dello stupro”
L'articolo più letto da ieri sul sito del New York Times racconta la metodica pianificazione della schiavitù sessuale delle donne yazide da parte dell'ISIS
Rukmini Callimachi, giornalista che si occupa per il New York Times di terrorismo, ha scritto un articolo molto documentato sulla schiavitù sessuale a cui sono costrette le donne yazide dai miliziani dello Stato Islamico (o ISIS). L’articolo è da ieri il più letto sul sito del New York Times.
Di violenze e stupri contro le donne yazide in Iraq e in Siria si parla da tempo, ma l’articolo di Callimachi è uno dei più completi scritti finora sull’argomento: racconta come l’ISIS abbia di fatto teorizzato la schiavitù sessuale e l’abbia pianificata nei minimi dettagli ancora prima di metterla in pratica. Descrive quello che centinaia di donne yazide stanno subendo e dimostra come alcune delle conquiste dell’ISIS non abbiano avuto come obiettivo un avanzamento territoriale, ma siano state piuttosto “conquiste sessuali” preparate meticolosamente. L’articolo di Callimachi si intitola “ISIS Enshrines a Theology of Rape”, “L’ISIS celebra una teologia dello stupro” e si basa sulle testimonianze di 21 donne e ragazze yazide rapite dall’ISIS e poi scappate, e sulle comunicazioni ufficiali diffuse dallo stesso gruppo.
La teologia dello stupro
Gli yazidi sono una popolazione di lingua curda (anche se a causa dell’arabizzazione forzata imposta da Saddam Hussein alcuni di loro parlano arabo) che abita principalmente nel nord dell’Iraq. La loro caratteristica principale è la religione che praticano lo yazidismo, un misto di quasi tutte le religioni sviluppate in Medio Oriente: l’islam, il cristianesimo, l’ebraismo e lo zoroastrismo.
Gli attacchi contro gli yazidi iniziarono nell’estate del 2014 attorno al monte Sinjar, nel nord-ovest dell’Iraq, due mesi dopo la conquista della città irachena di Mosul. All’inizio sembrava che l’azione militare dello Stato Islamico fosse un’altra battaglia con l’obiettivo di conquistare nuovi territori. Ben presto si capì però che si trattava di una cosa diversa e iniziò lo stupro sistematico delle donne yazide. Il 3 agosto del 2014 lo Stato Islamico annunciò di avere ripristinato l’istituzione della schiavitù sessuale, che tra le altre cose prevede dei contratti di vendita autenticati dai tribunali islamici istituiti dall’ISIS. Si trattava di un processo preparato meticolosamente nei mesi precedenti, come si scoprì in seguito. Nell’ottobre del 2014 su Dabiq, il magazine online dell’ISIS in inglese, uscì un articolo che spiegava nei dettagli la “teologia dello stupro”. L’articolo diceva che prima dell’attacco al monte Sinjar l’ISIS aveva chiesto ai suoi studenti della sharìa di fare delle ricerche sugli yazidi: nell’articolo si spiegava chiaramente che per gli yazidi non c’era alcuna possibilità di salvarsi pagando una tassa, cosa che invece è permessa agli ebrei e ai cristiani. L’ISIS aveva anche cominciato a citare versi specifici del Corano per giustificare il traffico degli esseri umani (tra gli studiosi di teologia islamica c’è un ampio dibattito su questo punto). Nei mesi successivi l’ISIS continuò a giustificare la schiavitù sessuale tramite un’interpretazione particolare dell’Islam. La posizione espressa su Dabiq fu ribadita in altri due articoli.
Più di recente il “dipartimento della ricerca e della fatwa” dell’ISIS ha diffuso un manuale di 34 pagine sulle regole di “gestione” delle schiave. Nel manuale si legge per esempio che non si possono avere rapporti sessuali con la propria schiava prima che lei abbia il primo ciclo mestruale, in modo da verificare che non sia incinta (non è possibile invece avere rapporti quando la donna è incinta). In generale, scrive Callimachi, non ci sono molti limiti a ciò che è permesso fare alle schiave: si possono anche stuprare le bambine, per esempio. Allo stesso tempo le schiave del Califfato islamico possono essere liberate dai loro proprietari tramite un “Certificato di emancipazione”. Callimachi ha raccontato la storia di una ragazza di 25 anni liberata dal suo proprietario, un miliziano libico che aveva finito il suo periodo di addestramento da attentatore suicida e stava progettando di farsi saltare in aria. Alla ragazza è stato consegnato un “Certificato di emancipazione” – firmato da un giudice dello Stato Islamico – che lei ha consegnato a un checkpoint dell’ISIS per lasciare la Siria e tornare in Iraq dalla sua famiglia.
Le donne yazide, da quando vengono rapite a quando vengono vendute
I sopravvissuti degli attacchi dell’ISIS della scorsa estate hanno raccontato cosa fanno i miliziani dopo avere conquistato una città yazida. Per prima cosa dividono le donne dagli uomini. Ai ragazzi adolescenti è chiesto di alzare la maglietta: se hanno peli sul petto finiscono nel gruppo degli uomini, se non li hanno in quello delle donne.
Gli uomini, costretti a sdraiarsi con la faccia a terra, vengono uccisi. Le donne vengono invece caricate su dei furgoni e portate via in una città vicina. Qui le ragazze più giovani e non sposate vengono fatte salire su degli autobus bianchi con la scritta “Haji”, il termine che indica il pellegrinaggio a La Mecca: sui finestrini degli autobus sono bloccate delle tendine, un accorgimento che sembra essere preso per evitare che da fuori si vedano delle donne non coperte con il burqa o con il velo in testa. Le donne vengono poi riunite anche a migliaia in grossi edifici di una città irachena e poi ritrasferite in altre città dell’Iraq e della Siria per essere vendute.
L’ISIS si riferisce alle donne messe in schiavitù con il termine “Sabaya” seguito dal loro nome. Le donne e le ragazze più belle e giovani, scrive Callimachi, vengono in genere comprate entro poche settimane dopo essere state rapite. Altre, le donne più anziane o già sposate, vengono trasferite più volte da un posto all’altro in attesa di essere vendute. Alcuni degli edifici in cui vengono tenute le donne rapite hanno anche una stanza usata dagli uomini per scegliere la donna da comprare. Una ragazza di 19 anni ha raccontato la sua esperienza in un mercato delle schiave: «Gli emiri stavano appoggiati contro il muro e chiamavano il nostro nome. Dovevamo rimanere sedute su una sedia di fronte a loro. Dovevamo guardarli. Prima di entrare nella stanza ci toglievano i veli e tutti i vestiti».
Lo stupro e le preghiere
Nel Califfato Islamico lo stupro viene oggi interpretato dai combattenti dell’ISIS come un diritto riconosciuto dall’Islam: non solo un diritto, ma anche un dovere. Per spiegare cosa questo voglia dire, Callimachi riporta una delle tante storie di violenza sessuale che le sono state raccontate da alcune donne yazide stuprate da miliziani dell’ISIS:
«Prima di iniziare a stuprare la bambina di 12 anni, il combattente dello Stato Islamico si prese il tempo per spiegare che quello che stava per fare non poteva essere considerato un peccato. Per il fatto che la bambina praticava una religione diversa dall’Islam, disse lui, il Corano non solo gli dava il diritto di stuprarla, ma lo accettava e lo incoraggiava.
Le legò le mani e le mise un bavaglio sulla bocca. Poi si inginocchiò di fianco al letto e cominciò a pregare, prima di mettere il suo corpo sopra di lei. Quando ebbe finito si inginocchiò di nuovo per pregare, mettendo fine allo stupro con un atto di devozione religiosa.
“Gli dissi che mi faceva male, gli chiesi di fermarsi”, ha raccontato la bambina, il cui corpo è così piccolo che un adulto può circondarle completamente i fianchi solo con le mani. “Lui mi disse che l’Islam gli permetteva di stuprare i miscredenti. Mi disse che stuprandomi si sarebbe avvicinato a Dio”, ha raccontato una bambina in un’intervista fatta insieme alla sua famiglia in un campo profughi dopo avere passato 11 mesi prigioniera.»
L’istituzionalizzazione dello stupro, scrive Callimachi, viene usata oggi anche come strumento di reclutamento per nuovi potenziali miliziani, soprattutto per gli uomini che provengono da società musulmane molto conservatrici dove il sesso viene considerato un tabù e frequentare una donna fuori dal matrimonio è proibito dalla legge.
Lo scorso anno i miliziani dell’ISIS hanno rapito 5.270 donne yazide, e almeno 3.144 sono ancora prigioniere nel Califfato islamico. Diversi attivisti yazidi, ma anche organizzazioni internazionali come Human Rights Watch e Amnesty International, hanno sostenuto che il trasferimento di migliaia di donne yazide e la loro riduzione in schiavitù non siano cose improvvisate, ma processi attentamente pianificati. Callimachi scrive che lo schiavismo sessuale ripristinato dall’ISIS sembra riguardare solo le donne della minoranza yazida, mentre non c’è traccia di un fenomeno così esteso per altre minoranze religiose attaccate negli ultimi mesi dallo Stato Islamico. Il manuale del Dipartimento della ricerca e della fatwa dell’ISIS, comunque, permette lo stupro anche di donne cristiane ed ebree quando si trovano su territori conquistati.