Dentro la nuova Unità
Sebastiano Messina racconta le opinioni di chi fa il giornale tornato in edicola da un mese e mezzo, con un nuovo direttore e una nuova discussa linea editoriale
Su Repubblica di oggi Sebastiano Messina racconta un po’ di storie sulla nuova Unità, tornata in edicola il 30 giugno dopo un anno di chiusura con un nuovo editore, un nuovo direttore – Erasmo De Angelis – e una linea editoriale più vicina a Matteo Renzi – segretario del PD e presidente del Consiglio – di quanto fosse stata nel suo recente passato. Nei giorni scorsi si è parlato molto soprattutto di un articolo pubblicato dall’Unità: la lettera di Sergio Staino, storico disegnatore del giornale, a Gianni Cuperlo, uno dei leader della minoranza del PD che non sostiene Renzi.
«Vuoi sapere perché ho pubblicato in prima pagina, con quel risalto, la lettera di Staino contro Cuperlo? Perché se vai in giro per le feste dell’Unità, come ho fatto io, sai che è esattamente quello che pensano tanti militanti del Pd: menatevi pure, datevele di santa ragione, ma ricordatevi che siete al governo. E che il partito deve restare unito». Erasmo D’Angelis, da 45 giorni direttore dell’Unità, non ha il minimo dubbio: quella lettera andava pubblicata, e pazienza se la minoranza del Pd l’ha presa male. «C’è venuto naturale metterla sul giornale, non ci siamo posti neanche il problema. Mica potevamo censurarla».
Un bel colpo, per l’Unità, che si è ritrovata al centro del dibattito politico. Ma anche un botto forte come un tuono, dentro una redazione dove, mi sussurra un collega davanti all’ascensore, «cinque o sei stanno con Renzi, una dozzina con la minoranza dem e un’altra dozzina con Varoufakis».Siamo al secondo piano di un palazzo di vetrocemento: dalla mitica sede di via dei Taurini – che all’ingresso esponeva la storica macchina linotype che aveva fuso in righe di piombo gli editoriali di Togliatti e le interviste di Berlinguer – il giornale fondato da Antonio Gramsci è finito ai Parioli. Una sede provvisoria, con le stanze dalle pareti bianche e senza poster, dove 29 giornalisti – età media sulla trentina – sono incollati davanti ai monitor da 27 pollici, tutti Mac, per chiudere in tempo il giornale.