Cosa sta succedendo a Kos
Migliaia di persone arrivano ogni settimana sull'isola greca scappando dalle guerre, le autorità locali non sanno gestirle: stanotte più di 1.000 sono state chiuse in uno stadio
Aggiornamento del 12 agosto: Nella notte tra l’11 e il 12 agosto più di mille profughi arrivati sull’isola greca di Kos dalla Turchia sono stati chiusi dalle autorità all’interno dello stadio della città di Kos. In precedenza le autorità locali avevano tentato di usare gli spazi dello stadio per allestire un centro per la registrazione delle generalità dei migranti arrivati sull’isola, ma il progetto erea fallito dopo che era scoppiata una rissa tra gruppi di profughi e tra i profughi e la polizia. La polizia ha deciso di chiudere le persone nello stadio la sera di martedì, dopo diverse ore di disordini. L’azione della polizia era apparsa poco coordinata e lucida anche durante la giornata dell’11 agosto, quando per contenere la folla erano stati usati estintori per il fuoco e bastoni. Tra le persone chiuse nello stadio c’erano anche donne e bambini molto piccoli e ci sono stati almeno due svenimenti causati dal caldo e dall’esposizione al sole. Una persona ha avuto una crisi epilettica durante la notte.
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Kos è un’isola della Grecia che da alcuni mesi è diventata il punto di arrivo di migliaia di profughi che scappano dalle regioni interessate dalla guerra in Siria. Durante i primi mesi del 2015 in Grecia sono arrivati circa sette volte i migranti che erano arrivati a questo punto dell’anno nel 2014 e la Grecia sta facendo parecchio fatica a gestire la situazione, anche a causa delle condizioni molto complicate della sua economia e dell’instabilità politica del paese nelle ultime settimane. A Kos le persone non arrivano per restare, bensì per proseguire il loro viaggio verso l’Europa: nell’isola però mancano strutture di accoglienza e nelle ultime settimane, con l’aumentare del flusso di persone, la situazione si è fatta particolarmente tesa.
Kos appartiene all’arcipelago del Dodecaneso, che di fatto è più vicino alla costa della Turchia che a quella della Grecia: Kos in particolare è separata dalla Turchia da circa 3 chilometri di mare, cosa che rende relativamente semplice la traversata. I profughi provano a raggiungere la Grecia partendo dalla costa della Turchia usando piccoli gommoni e imbarcazioni a remi che trasportano anche poche persone per volta, mentre alcuni pagano circa 1.500 euro a testa per viaggiare su piccoli gommoni a motore che trasportano anche 40 persone per volta. I trafficanti caricano le persone sulle barche e poi le indirizzano verso la costa di Kos, senza partire con loro; il viaggio dura circa 4 ore.
Una volta a Kos, la maggior parte dei profughi cerca di ottenere un permesso o dei documenti provvisori per poter continuare il viaggio verso la Grecia continentale, che è molto lungo e impossibile da affrontare con imbarcazioni piccole o mezzi di fortuna. In un certo senso la situazione a Kos assomiglia a quella di Calais, la città costiera della Francia dove da anni migliaia di migranti vivono in attesa di riuscire a raggiungere il Regno Unito, anche se le ragioni che fermano le persone non sono le stesse nei due casi.
Da gennaio 2014 in Grecia sono arrivati 124.000 migranti via mare, secondo i dati raccolti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), 50.000 solo a luglio e per la maggior parte a Kos e nelle altre isole dell’arcipelago Dodecaneso. La maggior parte delle persone che arrivano a Kos – più del 60 per cento – provengono dalla Siria; le altre arrivano per lo più da Iraq e Afghanistan. La ragione della loro migrazione, quindi, è la fuga dalla guerra, piuttosto che dalla povertà. La maggior parte delle persone che arrivano in Grecia, insomma, sono persone che possono facilmente ottenere asilo politico in base alle norme vigenti.
La Grecia si è mostrata particolarmente impreparata ad affrontare la situazione. A Kos mancano strutture di accoglienza, cucine, cibo, acqua, servizi igienici e medici. Vincent Cochetel, direttore dell’UNHCR per l’Europa, dopo aver visitato Kos ha parlato di “livelli di sofferenza insostenibili” e di standard di trattamento indegni di un paese dell’Unione Europea. Il primo ministro greco Alexis Tsipras ha detto che la Grecia non è in grado da sola di gestire l’emergenza e ha chiesto esplicitamente aiuto all’Unione Europea e solidarietà da parte degli altri paesi europei.
Nelle ultime settimane la situazione è gradualmente peggiorata, diventando sempre più tesa. Le migliaia di profughi che sono sull’isola – sono circa 7.000, ma il numero varia quotidianamente secondo chi arriva e chi riesce a ripartire – vivono per lo più all’aperto, nei parchi e nelle piazze dei comuni di Kos. Su richiesta del sindaco della città di Kos, alcuni volontari delle ONG che operano sull’isola hanno riadattato in qualche modo un vecchio albergo abbandonato – il Captain Elias Hotel – per renderlo una sorta di centro di accoglienza per migranti: sono stati installati rubinetti per l’acqua e sono stati distribuiti diversi materassi per dormire, e al momento ci vivono diverse centinaia di persone, in condizioni comunque precarie.
Le ONG che operano sull’isola e le autorità greche faticano a registrare tutte le persone che arrivano e, come riporta AP, il tentativo di organizzare un centro di registrazione all’interno di uno stadio è fallito dopo che è scoppiata una rissa tra alcune delle 1.500 persone in coda e dopo il disordinato intervento della polizia locale, che ha provato a disperdere le persone usando bastoni ed estintori. La registrazione, con cui le autorità prendono nota di nome e cognome delle persone che sono arrivate in Grecia, è il primo passaggio per poter inoltrare una richiesta di asilo politico o chiedere un permesso di soggiorno.
Oltre al problema umanitario legato alla gestione dei profughi, l’isola di Kos – la cui economia si regge quasi esclusivamente sul turismo – sta anche facendo i conti con il calo dei turisti causato dall’arrivo dei migranti: mentre i residenti dell’isola si sono mostrati generalmente piuttosto accoglienti, diversi turisti si sono detti infastiditi dalla loro presenza.